domenica 29 gennaio 2012

Poi dice che uno invoca Baffone


Non è che uno, ripensando con pena all’era del Nanostatista di Arcore, possa andare in avanti in eterno a dire “sì, ma se pensiamo a quello che c’era prima, Monti va benissimo”.
Tutti noi normo-pensanti l’abbiamo detto e l’abbiamo accettato come cura, ma poi uno si aspetta che, oltre a riguadagnare la stima in Europa (ma non era difficile, bastava rimuovere la vergogna), un governo che voglia davvero svoltare cerchi di riguadagnare la stima del popolo. Ma non sta avvenendo.
Archiviati (sicuro?) i diciott’anni di immondizia governativa, io vedo che:

non ci si appresta a revocare nessuna delle leggi ad schifezzam. La ministra della giustizia ha appena affermato che “la prescrizione non è una priorità”. E’ invece una priorità svuotare le carceri, ma soprattutto evitare che si riempiano di corruttori e corrotti. I morti di fame continueranno a entrarci.

I poteri forti stanno molto bene. A che serve liberalizzare l’apertura dei negozi se non a favorire le grandi catene che possono permettersi di restare aperte 24 ore su 24 e a deprimere ancora di più il piccolo commercio?

Privilegi della casta: voi avete visto qualcosa?

Le banche stanno molto bene. Lo spread scende e la depressione del cittadino sale. Ci vorrebbe un indicatore di quest’ultima che sia oggetto della stessa attenzione della stampa per il differenziale Bund-BTP.

Nessuna svolta all’orizzonte sulla Torino-Lione. Un’opera che è stata ampiamente dimostrata inutile e dannosa resta prioritaria come prima. Assistiamo da una parte a una protesta civile, dall’altra all’uso spregiudicato del manganello.

La voce dei partiti si è spenta, ma non quella della Lega. Nessuna reazione del governo alle bossate, alle calderolate e alle maronerie, consentite oltre ogni misura. Ecco un ambito dove sarebbe necessario il manganello.     

Alle proteste dei ricchi (evasori, farmacisti, imbroglioni di ogni risma) non fa eco la protesta unitaria degli operai: è frammentaria, orientata al caso particolare, perché non rappresentata da nessuno. Un sindacato, la Fiom, è di fatto fuori legge, benché la Costituzione affermi il contrario.

Sempre più campo libero al disinvolto Marchionne: l’altro giorno il Wall Street Journal si è chiesto “una Maserati resta una Maserati anche se prodotta a Detroit?”. Il pericoloso giornale comunista ha dato voce ai dubbi che sarebbero dovuti nascere a Roma, non a New York.

Non c’è stata una parola chiara da parte del governo sul sacrosanto rispetto dei referendum: l’acqua pubblica è ancora in pericolo e, vedrete, anche il nucleare. Veronesi è in naftalina, pronto alla riesumazione.  

Legge elettorale, non se ne parla. O meglio, se ne parla a sproposito. Vuoto normativo se si fosse fatto il referendum? 115 costituzionalisti hanno detto e sottoscritto che non è vero.   

Che fine ha fatto la famosa proposta di legge popolare sul parlamento pulito sostenuta da Grillo? 350.000 firme del 2007 aspettano di essere onorate. Ma anche qui tutto tace. Monti, Napolitano, la dite una parolina?

Sicuramente ho dimenticato tante cose, ma forse tutte si possono riassumere in una sola: il popolo esiste, sta sempre peggio, e merita un rispetto dimenticato.
Monti ha un solo modo per dimostrare che sta sulla stessa barca del popolo: che torni a bordo, cazzo!

sabato 21 gennaio 2012

Ma che ce ne facciamo della relatività?

 
Il tempo non trascorre con un ritmo fisso e immutabile, anche se la nostra limitata esperienza umana ci dice il contrario. La velocità del tempo dipende dalla velocità nello spazio di chi misura il tempo. Più andiamo veloci, più il tempo rallenta, fino a divenire praticamente fermo al raggiungimento della velocità della luce. Perché? Perché man mano che ci avviciniamo a questa, una parte sempre maggiore del tempo si trasforma in spazio. E’ la relatività.

Non ne abbiamo nessuna esperienza perché, benché l’effetto di rallentamento esista anche andando in auto a 50 all’ora, è talmente insignificante che nessun orologio è capace di registrarlo.
Questo simpaticissimo filmato ci regala la relatività spiegata da Piero Angela con i disegni di Bruno Bozzetto:   
 

Dunque ora abbiamo (quasi) capito, ma ci risulta ancora difficile immaginare una roba così. Figuriamoci a chi l’ha pensata per la prima volta.

Adesso spostiamoci a Berna nei primi anni del ‘900: un giovanotto, vestito in maniera alquanto trasandata, con i capelli lunghi e ondulati, sale sul tram. Si siede, il tram riparte e lui guarda fuori. Guarda un campanile, il suo sguardo si sofferma sull’orologio; il campanile con l’orologio gli scorre davanti; all’improvviso il giovanotto dischiude le labbra, la mandibola gli cade sempre di più e il suo sguardo si perde. Scatta a guardare dall’altro lato, torna al campanile che sta ormai scomparendo all’orizzonte, s’immagina a cavallo di un fotone che scappa dal campanile, immagina l’orologio ormai fermo perché lui ha raggiunto la velocità della luce. Albert Einstein ha intuito la relatività.          
                  
Così si racconta, non sappiamo se sia la verità, ma una considerazione sorge spontanea: ma come diavolo gli è venuto in mente? Almeno Newton aveva visto una mela cadere, Einstein non ha visto nulla, ha solo immaginato.
La risposta la facciamo dare a lui, intervistato negli anni ’40:

“Certe volte mi domando perché sia stato proprio io a elaborare la teoria della relatività. La ragione, a parer mio, è che normalmente un adulto non si ferma mai a riflettere sui problemi dello spazio e del tempo. Queste sono cose a cui si pensa da bambini. Io invece cominciai a riflettere sullo spazio e sul tempo solo dopo essere diventato adulto. Con la sola differenza che studiai il problema più a fondo di quanto possa fare un bambino”

Fatto sta che l’enunciato della teoria della relatività, del 1905, è puramente teorico, non è suffragato da nessuna verifica sperimentale perché nessuna era possibile all’epoca.
Oggi è veramente sorprendente quanto di tutto quello che aveva postulato Einstein sia oggetto di continue verifiche e quanto i risultati corrispondano esattamente a ciò che lui aveva previsto.

E a noi comuni mortali che tiriamo avanti i nostri giorni tra una banalità e l’altra, la relatività che ci ha portato? Che ce ne frega?
Facciamo finta che Einstein non sia mai esistito e vediamo se cambia qualcosa.
Mettiamo che dobbiamo andare a Usmate Carate a casa di amici, e dove sarà mai ‘sto posto? Saliamo in macchina, dotati di carte stradali di ogni genere, accidenti se inventassero qualche diavoleria che ci guidasse a destinazione…

Ecco che cosa non potrebbe mai funzionare senza la relatività: il navigatore satellitare. Il nostro GPS misura continuamente la distanza da tre satelliti, facendo una “triangolazione” tra i tre risultati. A causa della velocità dei satelliti però, il tempo misurato su di essi è più lento del nostro di 7 milionesimi di secondo ogni 24 ore. Il che si tradurrebbe, alla triangolazione, in un errore di alcuni chilometri. Se non ci fosse nel software dei satelliti una correzione di questa differenza, prevista esattamente da Einstein, a Usmate Carate non ci arriveremmo mai.   
  
Adesso però sto pensando a quella frase di Albert: “queste sono cose a cui si pensa da bambini”. Meglio che io vada a letto se no la mamma mi sgrida, ma non prima di avervi raccontato questa chicca (autentica):
   
il giorno dopo che Einstein si trasferisce negli Stati Uniti, nel 1933, arriva una telefonata all’Università di Princeton, dove era andato a insegnare:
“Pronto, vorrei andare a trovare il professor Einstein, può dirmi per favore dove abita?”
“No, mi dispiace, non possiamo fornire quest’informazione”
“Senta, non lo dica a nessuno, sono io il professor Einstein. Sto andando a casa, ma ho dimenticato dove abito”.  

venerdì 13 gennaio 2012

Cercare i Marziani è facile, ma trovarli...

Il famoso "Wow! Signal"

Come si cercano gli extraterrestri? E’ semplice, basta ascoltare le loro trasmissioni radio, le loro partite di calcio, i loro talk show, la pubblicità…
C’è del vero, ragazzi. Partendo dal presupposto che una civiltà intelligente faccia uso di segnali radio, basta mettersi in ascolto e prima o poi qualcosa la capteremo, visto che un segnale radio si propaga in linea retta per sempre. E’ il succo del progetto SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence) nato nel 1974 e tutt’ora in corso.

Da quando poi esistono gli strumenti di informatica individuale, ci sono nel mondo tantissime persone che partecipano al progetto fornendo gratuitamente la loro capacità di calcolo, quella che i nostri PC possono fornire in rete quando non sono impegnati a fare altro. Uno dei 2.300.000 pazzi volontari  partecipanti al progetto sono io.

Si tratta di analizzare i dati provenienti da un radiotelescopio cercando l’ago nel pagliaio, un ago piccolissimo in un pagliaio cosmico. Impresa titanica e pressoché disperata.
Il programma che gira sul mio PC scarica i dati dal sito del progetto Seti@home, li analizza cercando delle “triplette”, cioè dei segnali radio che si ripetano uguali almeno tre volte in una unità di tempo ragionevolmente piccola, e ritrasmette i risultati al server centrale.
Questa attività di analisi distribuita dei segnali radio, che usa appunto i PC dei volontari, è iniziata nel 1999 e continua ininterrottamente. Qui sotto vedete il mio “certificato” che testimonia da quanto tempo sono attivo e quante unità di calcolo ho elaborato. Nella classifica mondiale sono intorno alla 20.000ma posizione su due milioni virgola tre.   

 
Che cosa abbiamo trovato? Nulla. Nel 1977 c’è stato un falso allarme che ha tenuto i ricercatori col fiato sospeso per molto tempo: un radioastronomo ha captato un segnale inequivocabilmente intelligente che poi, dopo molto tempo, si è rivelato un’interferenza terrestre. E’ il famoso “Wow Signal” che vedete fotografato in alto. Il nome deriva dall’espressione annotata sul foglio della stampante dal radioastronomo quando ha visto il segnale e per poco non sveniva. Ma, come detto, un buco nell’acqua, sebbene qualche ricercatore nutra ancora dei dubbi sulla sua origine terrestre.     

Che speranze abbiamo di trovare qualcosa? Quasi nessuna, almeno non in un tempo ragionevole calibrato sulla durata delle nostre vite.
Adesso guardatevi questo video; prendetevi sei minuti e mezzo di tempo, ingrandite bene l’immagine, mettetela in HD, rilassatevi e godetevi lo spettacolo, non ve ne pentirete. Cliccate qui.


Avete visto che ridicola estensione hanno raggiunto segnali radio partiti dalla Terra da più o meno 100 anni? Capite perché un dialogo con un’intelligenza aliena non sarà mai possibile?
Mettiamo che captiamo un segnale da una distanza di 100 anni luce, per dire una distanza vicinissima in scala astronomica, lo comprendiamo (e già qui è dura), e rispondiamo. Altri cento anni per far arrivare il messaggio e altri 100 ancora per un’eventuale risposta. Pensate se uno dicesse “scusa, non ho capito, puoi ripetere?”  

Ma allora perché? Perché è bello e impossibile; una posta in gioco così alta non ce l’ha mai avuta nessuna attività di ricerca. Se poi invece secondo voi è inutile, è meglio che vi dedichiate a incrementare il PIL. Lasciate le seghe mentali a noi matti.    


domenica 8 gennaio 2012

Il tempo del pubblico dominio


Non mi stancherò mai di dire che Internet è una fonte di conoscenza straordinaria, uno strumento unico nella storia dello sviluppo dell’uomo. Non solo non sarebbe possibile mantenere un blog come questo senza Internet, ma neanche andare a cercare tutte quelle fonti preziose d’informazione che ne costituiscono il complemento.

Molte delle ricerche che faccio sono basate su testi diventati di pubblico dominio e liberamente consultabili grazie a iniziative come Google Books (qui) e Liber Liber (qui), e ogni volta non posso non stupirmi della quantità di materiale di cui disponiamo senza muoverci da casa.

Il 1° gennaio di ogni anno si celebra il “giorno del pubblico dominio”, il giorno in cui cadono le protezioni del diritto d’autore su migliaia di opere, normalmente dopo 70 anni dalla loro prima pubblicazione, che vanno ad arricchire questa colossale biblioteca pubblica.
Ogni anno quindi, una nuova iniezione di testi di cui si può fare ciò che si vuole, copiare, distribuire, utilizzare per comporre una canzone, tutto.

Ho capito la potenzialità immensa del pubblico dominio quando un anno fa ho scritto quel post su Commodo, il famigerato imperatore (qui). Ho potuto consultare online l’edizione integrale della “Storia degli imperatori romani” di Crevier, datata 1751. Entusiasmante, se penso a cosa avrebbe voluto dire farlo in biblioteca.
Il fatto poi che sia possibile scaricare i libri su dispositivi portatili e leggerli a piacimento, mi ha aperto una biblioteca che è sempre con me.
Piccolo problema: ho talmente tanto da leggere che non mi basta il tempo di una vita.

Poi c’è Sua Maestà Wikipedia, secondo me uno dei più visionari progetti dell’umanità. Recentemente su Il Tempo è apparso un articolo che ne dice tutto il male possibile e ne auspica la fine, lo trovate qui. Ottusità galoppante.


Certo, una ricerca su Wikipedia richiede sempre una verifica su altre fonti, se dovete basare una vostra pubblicazione su quei dati; la mia esperienza però è più che positiva: pochissime volte sono incappato in errori sostanziali.
D’altronde le grandi e blasonate opere su carta come la Treccani non sono esenti da errori anche madornali, e in questo caso nessuno potrà intervenire all’istante per correggerli.
Vi faccio un esempio illuminante: molti anni fa ho comprato la prima edizione del Vocabolario della lingua Italiana di Treccani. Con mio grande stupore mi accorsi all’epoca che alla lettera A mancava il verbo “afferire”. Scrissi subito alla redazione per segnalare l’errore, e questi cosa hanno fatto? Innanzitutto non mi hanno risposto per ringraziare della segnalazione, e poi hanno infilato “afferire” nell’appendice, come neologismo! 

 
Ne potrei citare altri, di errori dei dizionari cartacei (per esempio il Garzanti, ma almeno mi hanno risposto e ringraziato), ma il punto è che su Wikipedia questo non è possibile: gli errori vengono corretti più prima che poi e soprattutto gli errori non vengono coperti e giustificati violentando il sapere.

“Open”, questa è la parolina magica. Il sapere aperto, il software aperto, l’arte aperta. Disponibile liberamente a tutti noi, che possiamo così aggiungere qualche mattoncino alle costruzioni della conoscenza; quelle dei sapienti che ci hanno preceduto.       

lunedì 26 dicembre 2011

I capodanni che non ci siamo detti


Come spostandoci di qualche fuso (e di qualche cultura) cambia tutto

Essere disponibili a punti di vista diversi dal nostro, spesso sigillato da meccanismi mentali arrugginiti e talvolta immodificabili, apre una prospettiva infinita di espansione culturale.
E’ così anche con le nostre “feste comandate”, di cui il Capodanno è uno dei pilastri.

Così, affacciandoci dalla confortevole finestra delle nostre tradizioni per scoprirne altre, scopriamo che può accadere in alcune parti del mondo che di capodanni ce ne siano due per ognuno dei nostri anni. E’ accaduto nel 2008, quando il capodanno islamico è caduto la prima volta il 10 gennaio e la seconda il 28 dicembre. Questo perché l’anno islamico è basato sui cicli lunari e non su quelli solari, risultando l’anno leggermente più corto di quello gregoriano. In questo modo l’anno è più corto di circa 11 giorni, un mese ogni tre anni, dando luogo di tanto in tanto al fenomeno del doppio capodanno. Il primo mese dell’anno è muharram, che contiene la radice haram, proibito. La stessa radice, guarda caso, è presente nella parola harem. Non sempre il 1° muharram è una festa: lo è con un carattere particolarmente gioioso in nord Africa ma, dato che si commemora la morte del nipote del Profeta (ucciso nella battaglia di Kerbela del 10 muharram dell’anno islamico 61), presso gli sciiti è osservato il digiuno obbligatorio per dieci giorni, facoltativo per i sunniti.         
Guardando poco lontano (ma al di là di un solco culturale profondo anni luce), vedremmo che il capodanno ebraico cade sul nostro calendario con un ciclo estremamente complicato, basato sul cosiddetto ciclo metonico (dal nome dell’astronomo greco Metone), cioè sia sul ciclo lunare che su quello solare. In base a questo calcolo, gli anni sono di 12 o 13 mesi e i mesi di 29 o 30 giorni; quest’alternanza consente l’allineamento, ogni 19 anni, con il calendario solare. E pensare che tutto questo complesso meccanismo è stato inventato nel 5° secolo a.C.!
Il capodanno religioso vero e proprio (ce ne sono altri due, quello agricolo e quello sincronizzato con lo Yom Kippur) cade il giorno 1 del mese di Nissan, anche detto mese del Pesach (che ricorre il 14), la Pasqua ebraica con cui si celebra l’Esodo. Non vi sfuggirà l’assonanza tra Pesach e Pasqua: anche se le due feste hanno, ovviamente, un significato completamente diverso, la parola Pasqua deriva dall’originale ebraico.

Spostandoci un po’ più a est ma non troppo, in Russia c’è un capodanno “nuovo” e ufficiale il 1° gennaio e un capodanno “vecchio” e ufficioso il 13 gennaio. Tra il vecchio e il nuovo c’è di mezzo lo zar Pietro il Grande, illuminato e riformatore, che nei primi del ‘700 decretò l’adozione del calendario gregoriano attuale e l’abbandono del vecchio calendario giuliano, il quale differiva ormai dal calendario del resto d’Europa di ben 13 giorni.
Ma le tradizioni russe, per fortuna, sono dure a morire. Ancora oggi molti festeggiano, sia pure in tono minore, anche il capodanno “vecchio” del 13 gennaio, con una cena del tutto speciale. E’ una festa minore, tradizionale e più intima.

Infine spingiamoci di molto verso levante per trovare il calendario lunare cinese, molto simile, per la composizione dei mesi e degli anni, a quello ebraico. Quindi ancora una volta un complicato meccanismo di successione di anni di 12 e 13 mesi che fa sì che il capodanno (Hsin Nien) cada in coincidenza della prima luna nuova dopo l'entrata del Sole nel segno dell'Acquario, sempre tra il 21 gennaio ed il 19 febbraio.
Il capodanno cinese è la festa della Primavera, una delle più sentite in Cina come in molti altri paesi dell’estremo Oriente. I festeggiamenti durano due settimane durante le quali si alternano momenti di festa e di preghiera, momenti in famiglia ed altri per le strade addobbate a festa.

Non mi resta che concludere con un grande augurio per il nuovo anno: che si possa tutti viverlo con mente aperta e accogliente come mai prima.

sabato 17 dicembre 2011

Quel pazzesco istante zero


Quest’estate vi parlavo qui di quel fatterello noto come ”Big Bang”, il grande botto che avrebbe dato inizio a tutto. E si diceva come non abbia senso parlare di un “prima”, dato che sarebbe stato quel botto a far partire il tempo.
In quest’ipotesi il “prima” è un concetto inesistente, quindi non avrebbe neanche senso immaginare un cronometro in mano a qualcuno che abbia schiacciato il bottone. Nessuno lo ha schiacciato perché avrebbe dovuto farlo “prima” e soprattutto avrebbe dovuto decidere “prima” di farlo. Quindi, l’eventuale atto creatore non ci sarebbe mai stato.  

Tutti contenti? Manco per idea. Io no di certo, semplicemente perché non riesco minimamente (e credo neanche voi) a immaginare l’assenza di tempo e spazio; e neanche i ricercatori, perché quel pazzesco “istante zero” fa a pugni con tutte le leggi fisiche. Bazzecole come gravitazione universale e relatività non funzionano più. Se pensiamo alle ipotetiche condizioni fisiche del solo istante zero, Einstein ha sbagliato tutto.
Eppure, le osservazioni e le misurazioni sempre più ricercate (e di cui Einstein non disponeva) lungo tutto il percorso di quei 13,7 miliardi di anni che ci separano da quel momento, danno continue e impressionanti conferme di quel che l’amico Albert aveva previsto. Fino a quel benedetto istante in cui tutto diventa impossibile.
Il punto è che, seguendo le ordinarie leggi fisiche, nel momento della cosiddetta “singolarità”, quando cioè l’universo è un punto senza ancora volume né dimensione, l’energia, la temperatura e la massa sono infinite. Anche un bambino sa che provare a fare un rapporto tra una massa infinita e un volume zero porta a un unico risultato:


Si possono trarre due conclusioni diametralmente opposte da quest’impasse scientifica, la prima rappresentata da un’affermazione del fisico Frank Tipler:

Abbiamo sottoposto l’esistenza di Dio alla verifica sperimentale. L’unica conclusione possibile è che Dio esiste.

Per la seconda mi permetto di scomodare Hegel:

Se i fatti non concordano con la teoria, tanto peggio per i fatti.

Se accettiamo l'affermazione di Tipler, scegliamo di fermarci alla prima spiaggia e il discorso finisce qui. Se prendiamo in considerazione la seconda, andiamo avanti. E io vado avanti, perché se per ogni mistero mi dessi una spiegazione divina mi parrebbe d’insultare la storia della conoscenza. A che serve la “scuola di Atene”? Se non vado avanti tanto vale buttarla giù.  

Dunque mettiamo in dubbio i fatti.
Prendiamo in considerazione la possibilità che questo famoso istante zero non sia mai esistito, il che ci farebbe ritrovare l’armonia con Newton e Einstein ma fa sorgere un altro piccolo problemino: ma… se non è mai nato, l’Universo è sempre esistito?   
Su questa domanda sta lavorando il giovane e brillante fisico tedesco Martin Bojowald, raccogliendo l’eredità di Einstein. Quest’ultimo sapeva che la ”singolarità” faceva crollare la relatività e tentò di lavorarci per risolvere il dilemma ma il tempo non gli è bastato.
Bojowald è anche un divulgatore e ha scritto un libro che sto leggendo:


Devo dire che, benché divulgativo, il libro è tosto. Non ho capito un accidenti della teoria quantistica ed è la seconda volta che ci provo; ci vorrà la terza, poi se succede il miracolo ve la racconto. Comunque, mi è successo che avendo letto una certa pagina e avendola perfino compresa, non ho fatto che pensare a quella pagina tutto il giorno, nonché a questo post che sto scrivendo.

Bojowald è il padre della teoria del “Big Bounce” (Grande Rimbalzo) da lui enunciata nel 2007. La sua teoria dice che l’Universo si espande fino al punto di densità critica (punto Ω) in cui, un po’ come succede per una stella supernova, la gravità lo fa implodere e collassare su se stesso, per ridursi in uno stato molto vicino a quello dell’istante zero senza mai raggiungerlo. Ma a questo punto, raggiunta ancora una volta la massa-energia critica, l’Universo ri-esplode in un nuovo Big Bang. E questo sarebbe avvenuto un numero infinito di volte e avverrà ancora un numero infinito di volte. Ogni volta il nuovo Universo sarà diverso da quello precedente, essendo essenzialmente il caso a determinare la sua composizione .


Così come quando esplode una bomba è impossibile prevedere dove andranno a finire tutte le sue molecole, nel caso dell’Universo il risultato è ancora più imprevedibile. Non sappiamo come le particelle sub-atomiche che costituiscono tutta l’energia si combineranno e che tipi di atomi formeranno, si potrebbe ipotizzare qualunque cosa, anche un Universo senza idrogeno ma con qualcosa di nuovo. Anche un Universo che non potrà mai ospitare la vita, ma poi magari va meglio al successivo rimbalzo.

Sarebbe quindi una successione infinita, ciclica, di Big Bang e Big Crunch (collassi) che ci consentirebbe di affermare che l’Universo è sempre esistito e sempre esisterà, sia pure in forme e modi diversi determinati dai Big Bang che si succedono uno dopo l’altro. Da ignorante mi sembra più confortevole della pazzesca assenza di spazio e tempo.  

A questo punto abbiamo aggiunto al dubbio sul “prima”, il dubbio sul “sempre”. Mi sa che dovremo prima o poi tornare a fare una visitina dalle parti di Atene.
La scienza impone anche alla filosofia dei “Big Bounce” ciclici del pensiero, un viaggio senza fine che ci fa passare e ripassare per i luoghi del sapere.
Era meglio fermarsi alla prima spiaggia, quella bella e rassicurante di Tipler? Io dico di no.          
  
Chicca non proprio piacevole: vi sarete chiesti se è possibile prevedere il momento di massima espansione, il punto Ω. Più o meno sì, se la teoria è giusta, e il punto Ω risulta essere adesso.
Dobbiamo sperare che Bojowald abbia preso una micidiale cantonata oppure che abbia perfettamente ragione e veder trionfare la conoscenza? Ovviamente, non lo so.            

sabato 10 dicembre 2011

Socrate: facciamo parlare le Leggi


Morte di Socrate - Jean Louis David - New York MOMA
(clicca per ingrandire)

In questi tempi di leggi inique ma “extrema ratio” per salvare l’Europa, non poteva non venirmi in mente Socrate.
Nel Critone, scritto da un giovane Platone1, questi ci racconta perché Socrate si decise ad accettare la sua ingiusta condanna invece di scappare per sottrarsi alla morte.

Socrate era stato processato per due capi d’accusa del tutto pretestuosi: corruzione morale dei giovani, che avrebbe incitato alla ribellione, e il mancato rispetto della religione di Atene.
Il filosofo si difende da solo (ovvio!) attaccando il tribunale con la faccia come il deretano: a lui è dovuta non una condanna ma una rendita a vita, per aver educato la gioventù ateniese.
Accetta poi una multa, ma provoca il tribunale affermando che la accetterà solo se ridicola. Al rifiuto di andare in esilio, il tribunale lo condanna a morte.

Socrate è in prigione in attesa dell’esecuzione quando il suo allievo Critone, corrompendo una guardia, va a trovarlo cercando di convincerlo a scappare. Non solo perché la condanna è ingiusta, ma anche perché il popolo ateniese avrebbe giudicato molto male i suoi allievi se non lo avessero esortato e aiutato a fuggire.
Socrate liquida la seconda motivazione affermando che solo i saggi possono giudicare; il giudizio del popolo sulle questioni etiche non va tenuto in considerazione. Si sofferma invece a lungo sulla liceità di una fuga, apparentemente giustificata dall’ingiustizia subita.

Dialogando con Critone, il filosofo inscena una prosopopea, un artificio retorico in cui si fanno parlare entità non umane impersonificandole.
Socrate immagina che durante la sua ipotetica fuga le Leggi gli si parino davanti e gli si rivolgano più o meno così:

Socrate, che stai facendo? Fuggi? Non avevamo convenuto che tu saresti dovuto sottostare a noi senza discutere? Non ci pare di aver stabilito che tu avresti potuto giudicarci.
Hai vissuto settant’anni sotto la nostra protezione, sei nato perché noi abbiamo sancito il matrimonio dei tuoi genitori, sei stato educato e sei quello che sei perché noi abbiamo stabilito che tu dovevi essere educato.
Sei una nostra creatura, siamo le tue Leggi e la tua Patria, ti abbiamo protetto per consentirti di vivere come più ti è piaciuto. Avevi una sola scelta: ci potevi persuadere a cambiare o ubbidirci senza discutere; quello che non puoi fare è violarci.
E tu, bada bene, saresti più colpevole di altri nel disubbidirci, perché noi ti siamo sempre state gradite; hai insegnato ai giovani che non possono fare a meno di noi per vivere in pace, per costruire una società giusta.
Potevi andartene, potevi decidere di sottostare alle leggi di Sparta o di Creta se non ti fossimo piaciute, ma non lo hai fatto e non hai neanche accettato l’esilio perché le regole di Atene ti piacciono. Ogni buon cittadino ama le regole e tu sei stato un buon cittadino e un buon maestro.
Se scapperai, darai un ottimo motivo ai tuoi accusatori per credere che la condanna sia stata giusta: saresti un sovvertitore delle Leggi. E’ questo che vuoi? Ricorda: sei stato trattato ingiustamente non da noi, ma dagli uomini.

Critone non ha più parole: il maestro ha ragione. Socrate berrà la sua cicuta.
Le Leggi dicono anche un’altra cosa a Socrate, ma l’ho lasciata per ultima perché merita un commento particolare:

Se scappi ci avrai nemiche, e noi parleremo male di te alle nostre sorelle che regolano l’oltretomba. Sei sicuro che ne valga la pena?

Onde evitare che quest'ultima minaccia delle Leggi ci porti a credere che, alla fine, ciò che convince Socrate è solo la paura della punizione divina, vale la pena di fare una piccola digressione sul suo sentimento religioso.   
Il rapporto tra Socrate e gli dèi era regolato da un dáimon, una sorta di “genietto” inferiore agli dèi e superiore all’uomo, che viveva dentro di sé e gli faceva sorgere ogni sorta di dubbio etico prima di compiere un’azione. Potremmo paragonarlo all’imperativo categorico kantiano e al Super-Io freudiano. Non è quindi devozione alla tradizione religiosa la sua (e sarà questa una delle ragioni per la sua condanna) ma un’interpretazione personale e innovativa della religione, che governa l’anima dell’uomo più che i fenomeni del mondo.   
Tornando alla nostra attualità, di nefandezze e iniquità legislative e decretizie ne abbiamo viste tante e ne vedremo ancora. Mala tempora currunt, sed peiora parantur.
Dobbiamo bere la nostra cicuta? Tanto per cambiare, non lo so.

[1] Socrate non ha mai scritto una riga. Conosciamo il filosofo dai suoi allievi che ne hanno scritto in lungo e in largo. Tra questi spicca Platone che nella Apologia di Socrate e nel Critone racconta in maniera fedele il processo e l’autodifesa di Socrate, insieme alla sua rinuncia alla fuga.