sabato 12 febbraio 2011

Damnatio memoriae


La damnatio memoriae, il decreto con cui si cancellava ogni ricordo di un nemico di Roma, chiuse con infamia una carriera iniziata ignobilmente e finita peggio. E' la carriera di Commodo, figlio di Marco Aurelio e imperatore a Roma dal 180 al 192. La sua storia è importante e ispiratrice: provate a seguirmi e mi darete ragione.

Tanto per dargli un volto, lo immaginiamo con quello del bravissimo Joaquin Phoenix nell'hollywoodiano Il gladiatore; tutti l'abbiamo odiato come uno dei cattivi meglio riusciti della storia del cinema.
Il parallelo con Hollywood finisce qui, perché la vera storia di Commodo è anche peggiore di quella, pur infame ma finta, dell'assassino di Massimo Decimo Meridio.
A sua unica discolpa, preciso subito che Commodo molto probabilmente non assassinò Marco Aurelio: di tre testi storici consultati, vince l'innocenza per 2 a 1. Ma qui finiscono le innocenze di Commodo.

Dunque, nel 180 Marco Aurelio muore a Vindobona (Vienna, per i comuni mortali) dove stava combattendo da una decina d'anni un'interminabile guerra contro i Germani che minacciavano il limes danubiano.
E la stava vincendo quando Commodo, nuovo imperatore, preferì tornarsene a Roma tra la costernazione dei suoi stati maggiori, concludendo con i Germani un trattato di pace del tutto sfavorevole a Roma. Un grande inizio d'impero.

A Roma Commodo licenziò (o fece uccidere, ma è una sottigliezza) molti dei senatori che Marco Aurelio avvedutamente gli aveva preparato per un governo illuminato e li sostituì con una  truppa di "yes men" pronti ad appoggiarlo in cambio della partecipazione ai suoi fasti. Vi riporto cosa scrive di quel senato e della corte di Commodo Jean-Baptiste Crevier nella sua Storia degli imperatori romani del 1751*:

"Ogni uomo saggio, e chiunque era mediocremente versato nelle lettere, doveva aspettarsi d'essere cacciato dalla corte come un pericoloso nemico. I commedianti, gli osceni pantomimi governavano e signoreggiavano il principe, a nient'altro intento che a guidar carri, e a combattere contro le fiere; e gli adulatori gli esaltavano questi indegni esercizi come grandi e gloriose imprese. Quindi crudeltà da una parte, infamie, stravaganze e indecenze dall'altra formano il ritratto di Commodo, e tutta la serie delle azioni che avremo a riportare di lui fino alla sua morte."

Commodo aveva una vera predilezione per i combattimenti dei gladiatori: indiceva tornei che duravano settimane o mesi e vi partecipava personalmente. Con le carte truccate però: si armava di spade affilatissime e faceva spuntare quelle dei suoi avversari. Il culmine della sua bassezza fu raggiunto quando, come ci racconta lo storico Cassio Dione, suo contemporaneo, inscenò nell'arena una battaglia contro i "mostri", che stravinse facendoli tutti a pezzi in un'orgia di sangue. I "mostri" erano impersonati da poveri storpi raccolti per strada, armati di finte pietre fatte con delle spugne. Quell’eroica vittoria valse a Commodo (per suo proprio decreto) il titolo, fra i tanti, di "Ercole".

Jean-Léon Gérôme (1824-1904) - Pollice verso
(clicca per ingrandire) 
 
Ma Commodo si proclamava anche tante altre cose; ecco l'intestazione dei documenti imperiali indirizzati al Senato: 
"L'Imperatore Cesare Lucio Elio Aurelio Commodo Augusto, Pio, Felice, Sarmatico, Massimo Germanico, Britannico, Pacificatore dell'Universo, Invincibile, Ercole Romano, Gran Pontefice, adorno della potestà tribunizia per la decima volta, otto volte imperatore, sette volte console, padre della patria, ai consoli, ai pretori, ai tribuni del popolo, e al felice senato commodiano, salute."

E “commodiano” non era solo il Senato, ma perfino la città di Roma, ribattezzata "Colonia Commodiana".
Il bravo e morigerato imperatore era leggermente pieno di sé, e il popolo, della cui adorazione egli aveva una sete insaziabile, cominciò ad avere vergogna di lui. Ecco un'altra testimonianza di Crevier:

"Veniva ricolmato di applausi: gli stessi senatori ripetevano le acclamazioni, che venivano loro dettate, e per ogni cento risonavano le sue lodi, mentre non v'era alcuno degli spettatori che non arrossisse sino al fondo dell'animo per l'ignominia di cui si ricopriva il capo dell'Impero.
Bisogna dire che in mezzo a questi concertati applausi sfuggiva qualche involontario indizio degl'interni sentimenti che li smentivano; da che Commodo sospettò che si facessero beffe di lui, e ne prese tanto sdegno, che fu sul punto di dar ordine ad una truppa di soldati, che facesse man bassa sopra il popolo. Voleva anche mettere a fuoco la città, che era a suo credere tanto più rea, che essendo sua colonia, gli doveva per tal ragione un nuovo grado di affetto e di riverenza. Leto, prefetto del pretorio, lo distolse da sì furioso divisamento, ma il pubblico n'ebbe qualche sentore, e si può facilmente immaginare come perciò s'accrescesse il suo odio contro il principe.
Vedendo di esser l'oggetto di un odio universale, ne comprese il pericolo; ma non voleva opporvi la sola efficace difesa che sarebbe stata il cambiar condotta, e ricorse a nascondersi nelle sue case di delizia, da cui rade volte usciva, e portando la sua diffidenza tanto innanzi, che adoperava una leggera fiamma per bruciarsi i peli della barba e l'estremità dei capelli, temendo di affidare il suo capo al rasoio d'un barbiere."

A questo punto cominciò l'auto-distruzione di Commodo: accecato dal sospetto di congiure vere e presunte, fece massacrare collaboratori, amanti, parenti ed amici. Quando la sua concubina prediletta Marcia scoprì di essere in cima alla lista dei prossimi condannati, giocò di anticipo e lo fece strangolare nel bagno da un servitore.
Al nuovo imperatore, Publio Elvio Pertinace, il Senato rivolse quest’appello:

"Che il ricordo dell'assassino e del gladiatore sia cancellato del tutto. Lasciate che le statue dell'assassino e del gladiatore siano rovesciate. Lasciate che la memoria dell'osceno gladiatore sia completamente cancellata. Gettate il gladiatore nell'ossario. Ascolta, o Cesare: lascia che l'omicida sia trascinato con l'uncino, alla maniera dei nostri padri. Più feroce di Domiziano, più turpe di Nerone. Ciò che ha fatto agli altri, sia fatto a lui stesso. Sia da salvare invece il ricordo di chi è senza colpa. Sia ripristinato l'onore degli innocenti."

Il Senato dichiarò Commodo hostis publicus (nemico pubblico) e lo condannò alla damnatio memoriae, cioè alla cancellazione di ogni ricordo di lui: monumenti, iscrizioni, immagini e scritti.
A quanti stanno tirando un sospiro di sollievo perché "giustizia fu fatta", devo dare una brutta notizia: la damnatio memoriae di Commodo durò solo due anni. Pertinace finì anch'egli assassinato (ma va'?) e il suo successore, Settimio Severo, riabilitò la memoria di Commodo.
Perché? Per puro opportunismo: per ottenere legittimamente il trono Settimio Severo doveva avvalorare una sua dubbia parentela con la stirpe degli Antonini, la stessa di Marco Aurelio e Commodo. Settimio comprò la parentela con la promessa di riabilitare il "gladiatore".
Ma Roma tornò per sempre (si spera) a chiamarsi Roma, è già qualcosa.
       
Dimenticavo, da tutta questa edificante storia avete per caso colto delle analogie con il presente? Siete proprio dei malpensanti. Come me.  



* Jean-Baptiste-Louis Crevier, Storia degli imperatori romani, 1751, Vol XIII

1 commento:

  1. Dopo le indiscrezioni di oggi su che cosa pensano gli americani di lui (vedi Wikileaks), dopo le piazze del 14 febbraio, dopo Ruby, Fede e Mora, avremo quindi anche un d.B. oltre che un a.B.? Stiamo entrando forse in una nuova era? E' l'inizio della Terza Repubblica? Certo se il passaggio sarà facilitato dall'auto-distruzione dell'imperatore B. allievo di Commodo, tutto potrebbe essere più veloce del previsto. Ma troppi dovrebbero auto-distruggersi perchè cambi davvero qualcosa. Vi ricordate Il Gattopardo quando diceva della sua Sicilia :"Tutto deve cambiare, perchè nulla cambi"? Vorrei che sbagliassimo lui ed io, lo vorrei davvero.

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