lunedì 26 dicembre 2011

I capodanni che non ci siamo detti


Come spostandoci di qualche fuso (e di qualche cultura) cambia tutto

Essere disponibili a punti di vista diversi dal nostro, spesso sigillato da meccanismi mentali arrugginiti e talvolta immodificabili, apre una prospettiva infinita di espansione culturale.
E’ così anche con le nostre “feste comandate”, di cui il Capodanno è uno dei pilastri.

Così, affacciandoci dalla confortevole finestra delle nostre tradizioni per scoprirne altre, scopriamo che può accadere in alcune parti del mondo che di capodanni ce ne siano due per ognuno dei nostri anni. E’ accaduto nel 2008, quando il capodanno islamico è caduto la prima volta il 10 gennaio e la seconda il 28 dicembre. Questo perché l’anno islamico è basato sui cicli lunari e non su quelli solari, risultando l’anno leggermente più corto di quello gregoriano. In questo modo l’anno è più corto di circa 11 giorni, un mese ogni tre anni, dando luogo di tanto in tanto al fenomeno del doppio capodanno. Il primo mese dell’anno è muharram, che contiene la radice haram, proibito. La stessa radice, guarda caso, è presente nella parola harem. Non sempre il 1° muharram è una festa: lo è con un carattere particolarmente gioioso in nord Africa ma, dato che si commemora la morte del nipote del Profeta (ucciso nella battaglia di Kerbela del 10 muharram dell’anno islamico 61), presso gli sciiti è osservato il digiuno obbligatorio per dieci giorni, facoltativo per i sunniti.         
Guardando poco lontano (ma al di là di un solco culturale profondo anni luce), vedremmo che il capodanno ebraico cade sul nostro calendario con un ciclo estremamente complicato, basato sul cosiddetto ciclo metonico (dal nome dell’astronomo greco Metone), cioè sia sul ciclo lunare che su quello solare. In base a questo calcolo, gli anni sono di 12 o 13 mesi e i mesi di 29 o 30 giorni; quest’alternanza consente l’allineamento, ogni 19 anni, con il calendario solare. E pensare che tutto questo complesso meccanismo è stato inventato nel 5° secolo a.C.!
Il capodanno religioso vero e proprio (ce ne sono altri due, quello agricolo e quello sincronizzato con lo Yom Kippur) cade il giorno 1 del mese di Nissan, anche detto mese del Pesach (che ricorre il 14), la Pasqua ebraica con cui si celebra l’Esodo. Non vi sfuggirà l’assonanza tra Pesach e Pasqua: anche se le due feste hanno, ovviamente, un significato completamente diverso, la parola Pasqua deriva dall’originale ebraico.

Spostandoci un po’ più a est ma non troppo, in Russia c’è un capodanno “nuovo” e ufficiale il 1° gennaio e un capodanno “vecchio” e ufficioso il 13 gennaio. Tra il vecchio e il nuovo c’è di mezzo lo zar Pietro il Grande, illuminato e riformatore, che nei primi del ‘700 decretò l’adozione del calendario gregoriano attuale e l’abbandono del vecchio calendario giuliano, il quale differiva ormai dal calendario del resto d’Europa di ben 13 giorni.
Ma le tradizioni russe, per fortuna, sono dure a morire. Ancora oggi molti festeggiano, sia pure in tono minore, anche il capodanno “vecchio” del 13 gennaio, con una cena del tutto speciale. E’ una festa minore, tradizionale e più intima.

Infine spingiamoci di molto verso levante per trovare il calendario lunare cinese, molto simile, per la composizione dei mesi e degli anni, a quello ebraico. Quindi ancora una volta un complicato meccanismo di successione di anni di 12 e 13 mesi che fa sì che il capodanno (Hsin Nien) cada in coincidenza della prima luna nuova dopo l'entrata del Sole nel segno dell'Acquario, sempre tra il 21 gennaio ed il 19 febbraio.
Il capodanno cinese è la festa della Primavera, una delle più sentite in Cina come in molti altri paesi dell’estremo Oriente. I festeggiamenti durano due settimane durante le quali si alternano momenti di festa e di preghiera, momenti in famiglia ed altri per le strade addobbate a festa.

Non mi resta che concludere con un grande augurio per il nuovo anno: che si possa tutti viverlo con mente aperta e accogliente come mai prima.

sabato 17 dicembre 2011

Quel pazzesco istante zero


Quest’estate vi parlavo qui di quel fatterello noto come ”Big Bang”, il grande botto che avrebbe dato inizio a tutto. E si diceva come non abbia senso parlare di un “prima”, dato che sarebbe stato quel botto a far partire il tempo.
In quest’ipotesi il “prima” è un concetto inesistente, quindi non avrebbe neanche senso immaginare un cronometro in mano a qualcuno che abbia schiacciato il bottone. Nessuno lo ha schiacciato perché avrebbe dovuto farlo “prima” e soprattutto avrebbe dovuto decidere “prima” di farlo. Quindi, l’eventuale atto creatore non ci sarebbe mai stato.  

Tutti contenti? Manco per idea. Io no di certo, semplicemente perché non riesco minimamente (e credo neanche voi) a immaginare l’assenza di tempo e spazio; e neanche i ricercatori, perché quel pazzesco “istante zero” fa a pugni con tutte le leggi fisiche. Bazzecole come gravitazione universale e relatività non funzionano più. Se pensiamo alle ipotetiche condizioni fisiche del solo istante zero, Einstein ha sbagliato tutto.
Eppure, le osservazioni e le misurazioni sempre più ricercate (e di cui Einstein non disponeva) lungo tutto il percorso di quei 13,7 miliardi di anni che ci separano da quel momento, danno continue e impressionanti conferme di quel che l’amico Albert aveva previsto. Fino a quel benedetto istante in cui tutto diventa impossibile.
Il punto è che, seguendo le ordinarie leggi fisiche, nel momento della cosiddetta “singolarità”, quando cioè l’universo è un punto senza ancora volume né dimensione, l’energia, la temperatura e la massa sono infinite. Anche un bambino sa che provare a fare un rapporto tra una massa infinita e un volume zero porta a un unico risultato:


Si possono trarre due conclusioni diametralmente opposte da quest’impasse scientifica, la prima rappresentata da un’affermazione del fisico Frank Tipler:

Abbiamo sottoposto l’esistenza di Dio alla verifica sperimentale. L’unica conclusione possibile è che Dio esiste.

Per la seconda mi permetto di scomodare Hegel:

Se i fatti non concordano con la teoria, tanto peggio per i fatti.

Se accettiamo l'affermazione di Tipler, scegliamo di fermarci alla prima spiaggia e il discorso finisce qui. Se prendiamo in considerazione la seconda, andiamo avanti. E io vado avanti, perché se per ogni mistero mi dessi una spiegazione divina mi parrebbe d’insultare la storia della conoscenza. A che serve la “scuola di Atene”? Se non vado avanti tanto vale buttarla giù.  

Dunque mettiamo in dubbio i fatti.
Prendiamo in considerazione la possibilità che questo famoso istante zero non sia mai esistito, il che ci farebbe ritrovare l’armonia con Newton e Einstein ma fa sorgere un altro piccolo problemino: ma… se non è mai nato, l’Universo è sempre esistito?   
Su questa domanda sta lavorando il giovane e brillante fisico tedesco Martin Bojowald, raccogliendo l’eredità di Einstein. Quest’ultimo sapeva che la ”singolarità” faceva crollare la relatività e tentò di lavorarci per risolvere il dilemma ma il tempo non gli è bastato.
Bojowald è anche un divulgatore e ha scritto un libro che sto leggendo:


Devo dire che, benché divulgativo, il libro è tosto. Non ho capito un accidenti della teoria quantistica ed è la seconda volta che ci provo; ci vorrà la terza, poi se succede il miracolo ve la racconto. Comunque, mi è successo che avendo letto una certa pagina e avendola perfino compresa, non ho fatto che pensare a quella pagina tutto il giorno, nonché a questo post che sto scrivendo.

Bojowald è il padre della teoria del “Big Bounce” (Grande Rimbalzo) da lui enunciata nel 2007. La sua teoria dice che l’Universo si espande fino al punto di densità critica (punto Ω) in cui, un po’ come succede per una stella supernova, la gravità lo fa implodere e collassare su se stesso, per ridursi in uno stato molto vicino a quello dell’istante zero senza mai raggiungerlo. Ma a questo punto, raggiunta ancora una volta la massa-energia critica, l’Universo ri-esplode in un nuovo Big Bang. E questo sarebbe avvenuto un numero infinito di volte e avverrà ancora un numero infinito di volte. Ogni volta il nuovo Universo sarà diverso da quello precedente, essendo essenzialmente il caso a determinare la sua composizione .


Così come quando esplode una bomba è impossibile prevedere dove andranno a finire tutte le sue molecole, nel caso dell’Universo il risultato è ancora più imprevedibile. Non sappiamo come le particelle sub-atomiche che costituiscono tutta l’energia si combineranno e che tipi di atomi formeranno, si potrebbe ipotizzare qualunque cosa, anche un Universo senza idrogeno ma con qualcosa di nuovo. Anche un Universo che non potrà mai ospitare la vita, ma poi magari va meglio al successivo rimbalzo.

Sarebbe quindi una successione infinita, ciclica, di Big Bang e Big Crunch (collassi) che ci consentirebbe di affermare che l’Universo è sempre esistito e sempre esisterà, sia pure in forme e modi diversi determinati dai Big Bang che si succedono uno dopo l’altro. Da ignorante mi sembra più confortevole della pazzesca assenza di spazio e tempo.  

A questo punto abbiamo aggiunto al dubbio sul “prima”, il dubbio sul “sempre”. Mi sa che dovremo prima o poi tornare a fare una visitina dalle parti di Atene.
La scienza impone anche alla filosofia dei “Big Bounce” ciclici del pensiero, un viaggio senza fine che ci fa passare e ripassare per i luoghi del sapere.
Era meglio fermarsi alla prima spiaggia, quella bella e rassicurante di Tipler? Io dico di no.          
  
Chicca non proprio piacevole: vi sarete chiesti se è possibile prevedere il momento di massima espansione, il punto Ω. Più o meno sì, se la teoria è giusta, e il punto Ω risulta essere adesso.
Dobbiamo sperare che Bojowald abbia preso una micidiale cantonata oppure che abbia perfettamente ragione e veder trionfare la conoscenza? Ovviamente, non lo so.            

sabato 10 dicembre 2011

Socrate: facciamo parlare le Leggi


Morte di Socrate - Jean Louis David - New York MOMA
(clicca per ingrandire)

In questi tempi di leggi inique ma “extrema ratio” per salvare l’Europa, non poteva non venirmi in mente Socrate.
Nel Critone, scritto da un giovane Platone1, questi ci racconta perché Socrate si decise ad accettare la sua ingiusta condanna invece di scappare per sottrarsi alla morte.

Socrate era stato processato per due capi d’accusa del tutto pretestuosi: corruzione morale dei giovani, che avrebbe incitato alla ribellione, e il mancato rispetto della religione di Atene.
Il filosofo si difende da solo (ovvio!) attaccando il tribunale con la faccia come il deretano: a lui è dovuta non una condanna ma una rendita a vita, per aver educato la gioventù ateniese.
Accetta poi una multa, ma provoca il tribunale affermando che la accetterà solo se ridicola. Al rifiuto di andare in esilio, il tribunale lo condanna a morte.

Socrate è in prigione in attesa dell’esecuzione quando il suo allievo Critone, corrompendo una guardia, va a trovarlo cercando di convincerlo a scappare. Non solo perché la condanna è ingiusta, ma anche perché il popolo ateniese avrebbe giudicato molto male i suoi allievi se non lo avessero esortato e aiutato a fuggire.
Socrate liquida la seconda motivazione affermando che solo i saggi possono giudicare; il giudizio del popolo sulle questioni etiche non va tenuto in considerazione. Si sofferma invece a lungo sulla liceità di una fuga, apparentemente giustificata dall’ingiustizia subita.

Dialogando con Critone, il filosofo inscena una prosopopea, un artificio retorico in cui si fanno parlare entità non umane impersonificandole.
Socrate immagina che durante la sua ipotetica fuga le Leggi gli si parino davanti e gli si rivolgano più o meno così:

Socrate, che stai facendo? Fuggi? Non avevamo convenuto che tu saresti dovuto sottostare a noi senza discutere? Non ci pare di aver stabilito che tu avresti potuto giudicarci.
Hai vissuto settant’anni sotto la nostra protezione, sei nato perché noi abbiamo sancito il matrimonio dei tuoi genitori, sei stato educato e sei quello che sei perché noi abbiamo stabilito che tu dovevi essere educato.
Sei una nostra creatura, siamo le tue Leggi e la tua Patria, ti abbiamo protetto per consentirti di vivere come più ti è piaciuto. Avevi una sola scelta: ci potevi persuadere a cambiare o ubbidirci senza discutere; quello che non puoi fare è violarci.
E tu, bada bene, saresti più colpevole di altri nel disubbidirci, perché noi ti siamo sempre state gradite; hai insegnato ai giovani che non possono fare a meno di noi per vivere in pace, per costruire una società giusta.
Potevi andartene, potevi decidere di sottostare alle leggi di Sparta o di Creta se non ti fossimo piaciute, ma non lo hai fatto e non hai neanche accettato l’esilio perché le regole di Atene ti piacciono. Ogni buon cittadino ama le regole e tu sei stato un buon cittadino e un buon maestro.
Se scapperai, darai un ottimo motivo ai tuoi accusatori per credere che la condanna sia stata giusta: saresti un sovvertitore delle Leggi. E’ questo che vuoi? Ricorda: sei stato trattato ingiustamente non da noi, ma dagli uomini.

Critone non ha più parole: il maestro ha ragione. Socrate berrà la sua cicuta.
Le Leggi dicono anche un’altra cosa a Socrate, ma l’ho lasciata per ultima perché merita un commento particolare:

Se scappi ci avrai nemiche, e noi parleremo male di te alle nostre sorelle che regolano l’oltretomba. Sei sicuro che ne valga la pena?

Onde evitare che quest'ultima minaccia delle Leggi ci porti a credere che, alla fine, ciò che convince Socrate è solo la paura della punizione divina, vale la pena di fare una piccola digressione sul suo sentimento religioso.   
Il rapporto tra Socrate e gli dèi era regolato da un dáimon, una sorta di “genietto” inferiore agli dèi e superiore all’uomo, che viveva dentro di sé e gli faceva sorgere ogni sorta di dubbio etico prima di compiere un’azione. Potremmo paragonarlo all’imperativo categorico kantiano e al Super-Io freudiano. Non è quindi devozione alla tradizione religiosa la sua (e sarà questa una delle ragioni per la sua condanna) ma un’interpretazione personale e innovativa della religione, che governa l’anima dell’uomo più che i fenomeni del mondo.   
Tornando alla nostra attualità, di nefandezze e iniquità legislative e decretizie ne abbiamo viste tante e ne vedremo ancora. Mala tempora currunt, sed peiora parantur.
Dobbiamo bere la nostra cicuta? Tanto per cambiare, non lo so.

[1] Socrate non ha mai scritto una riga. Conosciamo il filosofo dai suoi allievi che ne hanno scritto in lungo e in largo. Tra questi spicca Platone che nella Apologia di Socrate e nel Critone racconta in maniera fedele il processo e l’autodifesa di Socrate, insieme alla sua rinuncia alla fuga.   

giovedì 8 dicembre 2011

Natale a parole


Anche i miscredenti come me, alle nostre latitudini,  debbono avere a che fare con il Natale cristiano. E dato che oggi è festa, un piccolo post infrasettimanale sulle parole delle feste, tanto per aggiungere un'altra dimensione al Natale, che ne ha tante ma le stiamo perdendo tutte. 
E poi l'etimologia è una mia grande passione, un tema sul quale non mi sento neanche troppo ignorante. :-)

Cominciamo dalla fine, e cioè dalla festa che tutte le feste porta via: l’Epifania. La stella cometa apparve ai Re Magi dall’alto, in greco epi (dall’alto) phanéin (apparire). In latino diventa epiphania, in antico volgare Befanìa da cui, ovviamente, la Befana. Ma non è solo la stella ad apparire, è la natura divina del Cristo a rivelarsi agli uomini; quindi festa della rivelazione.
Di rivelazioni ce n’è più d’una: tra le Epifanie bisogna annoverare infatti anche, oltre a quella tradizionale in occidente, il battesimo di Gesù nel fiume Giordano, nonché il suo primo miracolo, la trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana. Tutte e tre sono rivelazioni della natura divina del giovane Gesù.   
Per la verità, nella tradizione cristiana non è l’Epifania l’ultima festa: “Risponde la Candeloraci sono io ancora!” Nel giorno della Candelora, il 2 febbraio, si celebra la benedizione delle candele.

Nel nostro percorso a ritroso, c’imbattiamo nel Capodanno. Naturalmente non c’è bisogno di spiegare la natura della parola, però ne approfittiamo per parlare della notte di San Silvestro. Il 31 dicembre del 335 muore papa Silvestro I, proclamato santo in seguito alla miracolosa guarigione dalla lebbra dell’imperatore Costantino. Secondo la tradizione, Costantino curava la sua malattia lavando le piaghe col sangue, e per questo aveva dato inizio ad un orribile eccidio di bambini. Sivestro intervenne per porre fine alla strage, guarendo l’imperatore. La guarigione miracolosa convinse l’imperatore della potenza della fede cristiana ed a promulgare gli editti che posero fine alla persecuzione dei suoi seguaci. Il 31 dicembre si ricorda quindi il papa che permise, grazie al suo intervento, la “ufficializzazione” della religione cristiana.

Proseguendo come gamberi, arriviamo al 26 dicembre, Santo Stefano. C’è una ragione ben precisa per la quale questo santo viene ricordato subito dopo il Natale: egli è stato il primo che ha sacrificato la vita in nome della fede cristiana, quindi il primo dei protomartiri. La sua morte, decretata dal sinedrio nell’anno 36, è riportata negli Atti degli Apostoli.

Ed eccoci a Natale. Nelle nostre case non mancano oggetti e simboli propri del Natale, tra i quali mi sembra molto interessante, da un punto di vista etimologico il presepe (o presepio). Letteralmente significa “luogo circondato da una siepe, preparato per uno scopo”; come si fa a dire tutto questo in una parola sola? E’ l’attitudine alla sintesi della lingua latina: praesepium è composto dal prefisso prae- (prima) e dal verbo saepire (circondare con siepe). Quindi resta sottinteso che il luogo è recintato prima di un certo avvenimento; e l’avvenimento, naturalmente è la nascita del bambinello.

La nostra frenetica attività natalizia del regalare merita una digressione iberica: il verbo ci arriva infatti dallo castigliano regalar, arrivando nella lingua italiana intorno al 1500. E’ probabile che si possa derivare il suo etimo da “fare un omaggio da re”.                     
Per concludere, l’avvento  è il periodo che precede il Natale, dal latino advenire (arrivare). E la vigilia è la veglia che precede la festa, dal latino vigilia (tempo della veglia). E, come sanno bene i bambini, la notte di Natale è difficile dormire.

sabato 3 dicembre 2011

Le stelle maestre di vita

La Supernova 1994D in basso a sinistra nella foto.
E' più luminosa dell'intera galassia NGC4526.

Ancora a parlare di stelle, questa volta per capire se possiamo trarne una filosofia di vita. O, se preferite, se le stelle possano davvero ispirare il nostro pensiero profondo. Senza per questo scomodare Aristotele e Kant.
A volte basta un modesto sapere scientifico (ma corretto, no Giacobbo!) per accendere una luce dentro di noi, per aprire la nostra mente e prospettarci punti di vista insospettati. A me è successo quando ho capito cos’è e come funziona una “Supernova”.

Le stelle invecchiano; tutti sanno che prima o poi anche la nostra morirà. Ma molto “poi”, tra qualche miliardo di anni, quando avremo fatto in tempo a estinguerci da un pezzo, quindi non mi preoccuperei troppo.     
Una stella come il Sole muore perché esaurisce il suo combustibile, l’idrogeno. I suoi processi interni si modificheranno all’esaurirsi dell’idrogeno e il Sole comincerà a espandersi drammaticamente, fino a occupare circa il doppio dello spazio che oggi ce ne separa (ca. 150 milioni di Km) e oltre. Diventerà quella che si chiama una “gigante rossa”.
Già nella prima fase di espansione, ammesso che noi esistessimo ancora, saremmo letteralmente fritti. 

La dimensione del sole come gigante rossa
paragonata alla dimensione attuale.

L’espansione di una stella a idrogeno come il Sole non può essere infinita; arriva a un punto critico in cui la massa della stella, che si è moltiplicata di centinaia o migliaia di volte, genera una gravità talmente potente alla superficie da superare la spinta espulsiva del nucleo: a quel punto la stella collassa su se stessa, lentamente oppure molto velocemente. Nel secondo caso diventa una Supernova: tutto il combustibile residuo brucia all’istante (parliamo davvero di secondi, minuti o al massimo ore) e la stella esplode. La probabilità che il collasso sia violento dipende dalla dimensione raggiunta dalla stella: più è grande, più è probabile.

Ragazzi, mi sia consentita un’elegante espressione: è un botto della madonna. Non ci sono parole o paragoni adeguati per descriverlo, basti dire che la distanza di sicurezza da un botto così, per non subirne alcuna conseguenza, è di circa 25 anni/luce, cioè 236,5 milioni di miliardi di chilometri. 

Siamo tranquilli su questo rischio? Abbastanza. Le giganti rosse in una fase pre-esplosiva sono note (salvo che ce ne sia scappata qualcuna) e non ne risultano a distanza critica. Una delle più studiate è Betelgeuse, a una distanza di 640 anni luce da noi; si ritiene che la sua esplosione sia imminente. Nella scala temporale dell’Universo, vuol dire da qualche anno a qualche secolo, forse la vedremo.

 
 Paragone tra la dimensione attuale di Betelgeuse e il nostro Sole.
Il puntino bianco in basso a destra è il Sole.
 
Così come è stata vista nell’anno 1054 l’esplosione della Supernova che ha dato origine alla Nebulosa del Granchio. Gli astronomi cinesi e arabi raccontano che la sua luce fu visibile in cielo durante il giorno per 23 giorni consecutivi. Era una stella distante 6.500 anni luce, il che ci consente di calcolare che l’esplosione è avvenuta all’incirca nel 5.500 a.C. Ecco una bella simulazione dell’esplosione della SN1054:

 


Possiamo quindi, tranquilli e gaudenti, assistere a questo spettacolo che sembra essere stato allestito per noi, sicuri da ogni turbamento? Assolutamente no, per due ragioni.

Prima ragione (o ragione del grande turbamento):
abbiamo detto che la Supernova di una stella a idrogeno causa uno sfacelo cosmico che si propaga per diversi anni luce. Nel raggio di diversi anni luce dalla stella che esploderà ci sono molte altre stelle, sicuramente alcune con sistemi planetari. È possibile che alcuni di questi pianeti ospitino la vita. Tutto spazzato via in un istante.
Ripeto un sentire a me caro: per chi suona la campana? E’ una domanda che ci dovremo porre se e quando vedremo Betelgeuse esplodere.
     
Seconda ragione (o ragione del piccolo turbamento):
c’è un tipo di esplosione stellare, non meno frequente del primo, in confronto al quale la Supernova della stella a idrogeno è un modesto petardo. È l’esplosione delle cosiddette Nane Bianche.
Dette anche Nane Degeneri, sono stelle all’ultimo stadio, molto piccole e pochissimo luminose, più o meno della dimensione della Terra ma con una massa superiore a quella del nostro Sole; quindi estremamente dense. Non hanno più idrogeno, lo hanno consumato tutto. Se ne starebbero lì tranquille a non far nulla di male, ma a volte il diavolo ci mette la coda.
Spesso le Nane Bianche fanno parte di un sistema binario, cioè hanno una stella compagna a volte molto vicina. Non è un caso raro, sono state osservate molte di queste coppiette. La Nana, nel suo processo di degenerazione, aumenta la sua massa ma non le sue dimensioni: l’attrazione gravitazionale diventa mostruosa e comincia a succhiare materia dalla stella vicina. La massa della Nana continua a crescere, sempre più densa e attrattiva, la quantità di materiale “succhiato” aumenta. Il processo accelera e si auto-alimenta: massa che cresce, più gravità, materia succhiata in più. Purtroppo, anche qui c’è un limite: arriva il momento del collasso della stella su se stessa per eccesso di gravità. A causa della compattezza della materia della Nana l’esplosione è mostruosa. Quello che accade in un istante è ben riprodotto in questo video:    


Ho usato parole come “diavolo” e “purtroppo”, perché ho usato un limitato metro umano. Queste esplosioni sono molto salutari per l’Universo: creano il materiale da cui nasceranno altre stelle e nuovi pianeti.    

Il “diavolo” e il “purtroppo” derivano dal fatto che questa volta la distanza di sicurezza da questa esplosione è stata stimata in 3.300 anni/luce, cioè 31,2 miliardi di miliardi di chilometri. Non solo; le Nane Bianche, come abbiamo detto, sono piccole e poco luminose: benché ne siano state osservate parecchie, non sappiamo in realtà quante ce ne siano intorno a noi perché possono essere sfuggite all’osservazione. E tanto meno sappiamo quante fanno parte di un sistema binario. In altre parole, non sappiamo dove sta ticchettando un timer. 

 
Però una cosa la sappiamo, ed è per questo che è solo un “piccolo” turbamento:
è completamente inutile preoccuparsene perché non possiamo prevederlo e non ci accorgeremmo di nulla. 

Solo mi piace poter pensare che qualcuno, da qualche parte molto lontana, vedrà il nostro lampo luminoso nel cielo. Il lampo che esaurisce in un istante tutto il nostro passato, il nostro presente e il nostro futuro. 
E mi piace ancora di più poter pensare che questo qualcuno sentirà suonare la campana anche per sé.   

sabato 26 novembre 2011

Da dove arriva la vita?


Dopo le miserie dell’attualità, è tempo di tornare in uno dei miei giardini preferiti: l’astronomia e l’astrobiologia.

Ricorderete che alcuni mesi fa abbiamo parlato della possibile scoperta di batteri fossili in un meteorite: qui. Sono andato a cercare eventuali nuove prese di posizione della comunità scientifica e ne ho trovate alcune, tutte a sfavore della tesi di Hoover. Quest’ultimo, secondo la maggior parte dei suoi colleghi, avrebbe in buona fede preso lucciole per lanterne, scambiando per batteri delle forme di aggregazione della materia inanimata.
Naturalmente dobbiamo sempre usare il condizionale, il modo verbale più aperto al dubbio e alla ricerca. L’indicativo lo usano i creazionisti, chiudendo con macigni tombali ogni spiraglio alla conoscenza.  
Il cammino della scienza funziona invece con sequenze interminabili di condizionali che poi, raramente, diventano indicativi. Se pensate che per dimostrare il teorema di Fermat1 ci sono voluti più di trecentocinquant’anni
  
La possibilità che la vita terrestre abbia avuto origine al di fuori della Terra (teoria della panspermìa) è oggetto di discussione scientifica da molti anni, ma negli ultimi è diventata più accesa, grazie a strumenti d’indagine sempre più sofisticati.
Mentre i telescopi orbitanti ci hanno aperto il sipario sullo spettacolo dell’universo come mai prima d’ora, si va sempre più affermando una nuova branca dell’astronomia che non ha bisogno di telescopi ma di microscopi: l’astronomia di terra.

Si stima che ogni anno cadano sulla Terra 40.000 tonnellate di meteoriti della più disparata provenienza, non sempre accertabile. Ma siccome, grazie alla spettrografia, conosciamo la composizione dell’atmosfera dei pianeti del sistema solare, se nel meteorite sono presenti “bolle” di atmosfera del pianeta d’origine, siamo in grado di affermare con certezza da quale pianeta sia arrivato il sassolino (o sassolone). Ammesso che sia arrivato dal sistema solare.

E così scopriamo che, per esempio, sulla Terra cadono ogni anno circa 500 Kg di pezzi di Marte. Come accade? Un grosso meteorite colpisce la superficie di Marte e, grazie alla leggera atmosfera del pianeta, non brucia o brucia poco nel percorso, colpendo il pianeta con grande violenza. Frammenti della crosta di Marte schizzano in cielo e riescono ad allontanarsi dal pianeta perché l’attrazione gravitazionale di Marte è molto bassa: la sua massa è appena 0,1 di quella della Terra. I frammenti vagano nel sistema solare e, benché con bassa probabilità, ogni tanto qualcuno di questi è catturato dall’attrazione terrestre.

Frammento del meteorite Murchison

Questi regali che ci arrivano dal cielo sono studiati con mezzi sempre più sofisticati. Ad esempio il meteorite di Murchison, caduto nel 1969 in Australia spargendo frammenti per 13 chilometri quadrati, ha rivelato nel suo interno la presenza di notevoli quantità di molecole organiche tra cui gli aminoacidi, e riserverà ancora molte sorprese man mano che i mezzi d’indagine si evolvono.
Che stanno cercando gli studiosi? Scommetto che lo sapete: le prove di una vita extraterrestre. A supporto, tra l'altro, della teoria della panspermìa.

A questo proposito è del 2009 una delle scoperte più interessanti e promettenti: in una “palla di ghiaccio” irradiata con luce ultravioletta, si è formato l’uracile, una base azotata componente fondamentale dell’RNA, l’acido nucleico atto alla biosintesi delle proteine. Lo studio è qui

E adesso diciamo la stessa cosa in “parla come magni”: il ghiaccio d’acqua è uno dei componenti fondamentali delle comete. Niente ghiaccio, niente cometa.
Le comete sono portatrici d’acqua e, forse, di qualcosa di più. Le comete vagano intorno al sistema solare e qualche volta dentro di esso, e qualche volta si schiantano contro un pianeta. L’acqua delle comete (e forse qualcosa di più) si dissemina sul pianeta.
E le comete, durante il loro vagare, sono bombardate dalla luce ultravioletta continuamente, senza la protezione di un’atmosfera. 

La cometa Hyakutake del 1996

In laboratorio, in un pezzo di ghiaccio puro contenente in soluzione i componenti trovati nel meteorite di Murchison, bombardato con raggi ultravioletti, si è formato l’uracile. Quindi le comete, sottoposte al bombardamento continuo di raggi UV durante il viaggio, devono essere ricche di uracile, e probabilmente non solo di quello. E allora?
E allora, l’uracile in natura serve unicamente alla vita. Non esistono altri usi possibili di questa molecola.
La natura non manca del necessario e non abbonda di superfluo (Aristotele). Se si è formato l’uracile ci deve essere una ragione. E questa ragione somiglia troppo alla disseminazione della vita. Manca poco, ragazzi.

Ben altra cosa è invece la ricerca di altre intelligenze nell’Universo. Probabilmente fallimentare in partenza e troppo affascinante per non provarci. La prossima volta vi spiego come partecipare al progetto. Dico sul serio. 




[1] Il teorema di Fermat, enunciato nel 1637, ha costituito una delle più grandi sfide della matematica degli ultimi secoli. Il teorema enuncia che nell’equazione an+bn=cn non esistono soluzioni intere positive se n>2. E’ stato dimostrato nel 1994 da Andrew Wiles che vi ha dedicato tutta la vita. Notate che invece per n=2 non è altro che il teorema di Pitagora.   

sabato 19 novembre 2011

Usciti dal coma?



Paolo Flores d’Arcais sul Fatto Quotidiano dà una definizione mirabile e impossibile da non condividere per capire da che cosa (forse) l’Italia sta venendo fuori:

[Quella di Monti è una destra] abissalmente diversa dalla destra del signorotto di Arcore, dal carrozzone berlusconiano di bravacci e lacchè, grassatori e tromboni, prostitute e prosseneti, che in questi interminabili anni di buio civile hanno occupato tutti i gangli vitali del paese e saturato gli schermi di servo encomio e codardo oltraggio.
Quest’orgia di mediocrità miracolata, villania cortigiana, ghigno osceno, prepotenza ribalda, ha imposto alla scienza di riabilitare Lombroso e ha costretto la politologia a branca della criminologia. Con il governo Monti tutto questo finisce. Non più sugli scranni di governo i Brunetta e le Santanchè, i Sacconi e i La Russa, o ministri la cui articolazione di pensiero si esprime solo nel dito medio e nel borborigmo: che sia “liberazione”, almeno sotto il profilo estetico e antropologico, nessuno potrà discuterlo, se ha occhi per vedere e orecchie per intendere.

E’ stato l’inferno e mi viene in mente Dante: e quindi uscimmo a riveder le stelle.
Ma, forse, lo avremmo detto di qualunque governo diverso dal precedente fosse venuto.
Non posso dire di essere entusiasta: Monti non ha ancora cominciato e già alcune cosette non mi piacciono: il fortissimo legame con le banche, il ministro dei Beni Culturali rettore di un’università privata, il ministro dell’ambiente nuclearista e “tavvista”. Dulcis in fundo, i salamelecchi a Ratzinger. Un governo tecnico me lo immaginavo ben laico. 

Perciò penso a malincuore che va bene così. Se c’è una via per venir fuori dalla crisi europea, è questa. Se c’è una via per ridimensionare la Casta, è questa. Se c’è una via per togliere la vergogna al Paese, è questa.
Ma non è la via per restituire una speranza duratura: questa è costruita solo dal pensiero libero dagli interessi e dura molto di più di un governo, anche di più delle nostre vite.
Abbiamo bisogno di una società nuova, di princìpi ma non di prìncipi. La chiave è non pensare più per noi e per il nostro piccolo mondo: è troppo tardi. Dobbiamo pensare solo per il grande mondo, per i nostri nipoti e pronipoti. Tutto il contrario di ciò che avviene oggi.    
Su questo siamo ancora a prima dell’alba, dovremo ancora lavorare e studiare tanto. Senza l’aiuto di Monti.       

sabato 12 novembre 2011

Licenza elementare 1903 - Montecitorio 2011


1903 
5a elementare - scolaro Antonio Gramsci. Componimento:
 
"Se un tuo compagno benestante e molto intelligente ti avesse espresso il proposito di abbandonare gli studi, che cosa gli rispon­deresti?"

"Carissimo amico,

Poco fa ricevetti la tua carissima lettera, e molto mi rallegra il sapere che tu stai bene di salute. Un punto solo mi fa stupire di te; dici che non ripren­derai più gli studi, perché ti sono venuti a noia. Come, tu che sei tanto intelli­gente, che, grazie a Dio, non ti manca il necessario, tu vuoi abbandonare gli studi? Dici a me di far lo stesso, perché è molto meglio scorrazzare per i campi, andare ai balli e ai pubblici ritrovi, anziché rinchiudersi per quattro ore al giorno in una camera, col maestro che ci predica sempre di studiare perché se no reste­remo zucconi.
Ma io, caro amico, non potrò mai abbandonare gli studi che sono la mia unica speranza di vivere onoratamente quando sarò adulto, perché come sai, la mia famiglia non è ricca di beni di fortuna.

Quanti ragazzi poveri ti invidiano,  loro  che  avrebbero voglia di studiare, ma a cui Dio non ha dato il necessario, non solo per studiare, ma molte volte, neanche per sfamarsi.
Io li vedo dalla mia finestra, con che occhi guardano i ragazzi che passano con la cartella a tracolla, loro che non possono andare che alla scuola serale.

Tu dici che sei ricco, che non avrai bisogno degli studi per camparti, ma bada al proverbio "l'ozio è il padre dei vizi." Chi non studia in gioventù se ne pentirà amaramente nella vecchiaia. Un rovescio di fortuna, una lite perduta, possono portare alla miseria il più ricco degli uomini. Ricordati del signor Fran­cesco; egli era figlio di una famiglia abbastanza ricca; passò una gioventù brillan­tissima, andava ai teatri, alle bische, e finì per rovinarsi completamente, ed ora fa lo scrivano presso un avvocato che gli da sessanta lire al mese, tanto per vivacchiare.

Questi esempi dovrebbero bastare a farti dissuadere dal tuo proposito. Torna agli studi, caro Giovanni, e vi troverai tutti i beni possibili.
Non pigliarti a male se ti parlo col cuore alla mano, perché ti voglio bene, e uso dire tutto in faccia, e non adularti come molti.

Addio, saluta i tuoi genitori e ricevi un bacio dal
Tuo aff.mo amico Antonio"
_____________

2011
Roma - intervista di “Le iene” all’On. Angelo Cera (UDC):

“Che cos’è lo “spread”?”
“Le famiglie ormai hanno totalmente messo... si sono completamente disseccate di quei pochi risparmi messi da parte per cui si consuma molto di più rispetto a quello che si produce. Lo spread cos’è? È la differenza tra quello che si produce e quello che uno realmente spende”.

“Che cos’è Standard & Poor's?”
“Guarda io l’inglese non lo conosco”.

Sono passati 108 anni. Cera sarà mantenuto dallo Stato a vita. Anche Gramsci è stato mantenuto dallo Stato fino alla morte. Nel carcere di Turi.  

domenica 6 novembre 2011

Franceso Forgione, in arte Padre Pio


Non è un miscredente come me che grida all’imbroglio, ma la Chiesa stessa almeno fino al 1963. Poi tutto cambia: un’escalation di riabilitazioni che si concluderà con la santificazione del 2002.
E’ una storia poco edificante, non tanto per il povero fraticello vittima di un’esaltazione mistica (o isterismo, secondo alcune diagnosi) e che comunque ha fatto del bene, ma per il Vaticano, reo di un bieco sfruttamento commerciale.

L’interessamento della Santa Sede per il fenomeno di San Giovanni Rotondo inizia nel 1919, quando da alcuni anni era cominciato il pellegrinaggio dei fedeli in seguito ai fenomeni “soprannaturali” la cui fama aveva già fatto il giro del mondo.
Una prima indagine è condotta da un luminare dell’Università di Roma, Bignami, ordinario di patologia medica: secondo lui le "stigmate" erano cominciate come prodotti patologici (necrosi neurotonica multipla della cute) ed erano state completate, forse inconsciamente per un fenomeno di suggestione, con un mezzo chimico, per esempio la tintura di iodio.

Nel 1920 arriva la stroncatura di Padre Agostino Gemelli, consulente del Sant’Uffizio:

“È un bluff... Padre Pio ha tutte le caratteristiche somatiche dell'isterico e dello psicopatico... le ferite che ha sul corpo... fasulle... frutto di un'azione patologica morbosa... un ammalato si procura le lesioni da sé... si tratta di piaghe, con carattere distruttivo dei tessuti... tipico della patologia isterica. Uno psicopatico, autolesionista e imbroglione.”

In quel momento esistono già le prove che Padre Pio aveva ordinato al farmacista Dott. Vista acido fenico e veratrina, due sostanze perfettamente in grado di procurare, e soprattutto di mantenere aperte, le lesioni alle mani.

Nel 1921 ancora un’indagine condotta dal vescovo di Volterra conduce (nel 1923) al decreto del Sant’Uffizio di “non constat de supernaturalitate” dei vari prodigi attribuiti a Padre Pio, addirittura negati dallo stesso interessato. Il popolo gli aveva attribuito un gran numero di guarigioni portentose che si rivelarono fasulle.    
Con la consueta velocità dei processi vaticani, solo nel 1931 si arriva al decreto di condanna di Padre Pio, al quale è vietata la celebrazione della messa in pubblico e vietato l’esercizio della confessione.

Naturalmente le confessioni non cessarono affatto, la fede popolare era travolgente e più forte del Vaticano. Aumentarono invece le visite illustri a San Giovanni Rotondo: nel 1938 Maria José di Savoia, poi i reali di Spagna, la regina del Portogallo in esilio, Eugenio di Savoia e moltissimi altri. Nel 1950 fu istituito un servizio di prenotazioni per la confessione.
Intanto la Chiesa era in uno stato di impasse del tipo “condanno ma intanto osservo e tollero”, e così si andò avanti fino al pontificato di Giovanni XXIII, il quale scrive:

“Con la grazia del Signore io mi sento calmo e quasi indifferente come innanzi ad una dolorosa e vastissima infatuazione religiosa il cui fenomeno preoccupante si avvia ad una soluzione provvidenziale. Mi dispiace di Padre Pio che ha pur un’anima da salvare, e per cui prego intensamente.
L’accaduto - cioè la scoperta per mezzo di filmine, si vera sunt quae referentur, dei suoi rapporti intimi e scorretti con le femmine che costituiscono la sua guardia pretoriana sin qui infrangibile intorno alla sua persona - fa pensare ad un vastissimo disastro di anime, diabolicamente preparato, a discredito della S. Chiesa nel mondo, e qui in Italia specialmente.
Nella calma del mio spirito, io umilmente persisto a ritenere che il Signore faciat cum tentatione provandum, e dall’immenso inganno verrà un insegnamento a chiarezza e a salute di molti.”
(Dal Corriere della Sera del 25 ottobre 2007)

Papa Giovanni sarà l’ultima voce critica della Chiesa nei confronti di Padre Pio. Nel 1964, Paolo VI reintegrerà il fraticello nel pieno delle funzioni religiose.
Contemporaneamente, chissà perché, la gestione finanziaria delle opere di Padre Pio passa al Vaticano.
Contemporaneamente, chissà perché, Padre Pio modifica il suo testamento: la Santa Sede è nominata erede universale di tutti i beni della Casa Sollievo della Sofferenza. 

  
Franceso Forgione, in arte San Pio, morirà nel 1968. Morirà da ingannato per non essere più ingannatore.
Per la memoria di un uomo buono, un po' esaltato, è stato un prezzo troppo alto da pagare.