domenica 27 marzo 2011

Lucrezio: quando la religione tenta di uccidere il sapere

Filippino Lippi - San Girolamo
El Paso Museum of Art

Ho mantenuto una promessa che avevo fatto a me stesso più di quarant'anni fa: ricordo benissimo che al liceo ero rimasto affascinato da un brano del De rerum natura di Lucrezio e mi ero riproposto che prima o poi l'avrei letto. Più "poi" che "prima" ce l'ho fatta e adesso voglio provare a parlarne senza farvi addormentare. Perché, vi assicuro, ne vale la pena.

Immaginate un filosofo e scienziato (per la verità le due cose erano del tutto coincidenti all'epoca di Lucrezio) nonché poeta, che intorno al 60 a.C. scrive un librone in versi in cui spiega com'è fatto il mondo, come siamo fatti noi, l'anima, gli animali e tutto ciò che ci circonda. E immaginate che la premessa sia del tipo: "Seguitemi e capirete molte cose, ma se volete davvero capire non dovete aver paura degli Dei. Il mondo non è stato creato dagli Dei, né  essi lo influenzano in alcun modo; gli Dei non si curano di noi. Perciò non credete a chi vi spaventa con le punizioni divine e andate avanti a indagare, capire, conoscere".

Tutto il poema sarà un richiamo continuo all'antinomìa tra ratio e religio, quest'ultima nient'altro che superstizione e oscuramento della ragione.  
Roba davvero tosta, e questo più di duemila anni fa. Meno male per Lucrezio che il Cristianesimo era di là da venire, ma come vedremo la Chiesa ne fece polpette anche da morto.

A Roma fu un personaggio scomodo, questo Tito Lucrezio Caro di cui non si sa quasi nulla: l'unico suo contemporaneo che ne parla è Cicerone. Fu lui a curare la pubblicazione del De rerum natura, additandolo come esempio da non seguire. 
Roma e la sua classe dirigente erano impegnate nel sacro compito della romanizzazione del mondo, in questo sostenute dagli Dei che tifavano all'unanimità per Roma.
Stato e religione ambedue sacri (anzi, lo Stato di più) e quasi tutt'uno; governanti votati allo scopo, sostenuti dalla filosofia stoica che propugnava l'etica come unica guida e l'allontanamento dalle passioni per non deviare dal dritto cammino. Stoicismo come filosofia di Stato. L'etica, naturalmente, era quella indiscutibile di Roma caput mundi

Figuratevi quanto doveva essere amato il povero Lucrezio, epicureo, spirito indipendente, e avverso alla sacra missione di Roma che secondo lui non esisteva.
Gli epicurei non avevano spazio nella Roma pubblica: erano semi-atei (gli Dei esistono ma non hanno fatto nulla e non lo faranno mai - perché dovrebbero lavorare se sono Dei?), l'anima c'è ma non è immortale, la conoscenza passa attraverso l'esperienza sensoriale totale e il piacere; vivere fino in fondo per capire. Uno così non lo pieghi alla sacra missione, Bush lo avrebbe mandato a marcire a Guantanamo.  
Bando alle ciance e diamo un'occhiata alla concezione del mondo di Lucrezio. 

  Un De rerum natura del 1675
(clicca per ingrandire)

Innanzitutto l'universo è fatto di atomi (non è una prima, gli atomi erano già apparsi qualche secolo prima ad Atene) che si muovono e si ricombinano continuamente a formare tutta la materia animata e inanimata.

La quantità di materia nell'universo è sempre la stessa, e quando un individuo muore i suoi atomi saranno riutilizzati per altri individui o altre forme materiali. Anche l'anima è fatta di atomi, e muore insieme al corpo per disperdere i suoi atomi nella natura.

Il moto degli atomi è causato da una forza simile a quella che fa cadere un peso, e tutto l'universo è permeato da questa forza. Newton ci arriverà solo diciassette secoli dopo.

Nessuno ha creato le piante e gli animali; essi nascono  "dall'umido della terra" e ogni animale o pianta è in grado di trasformarsi in un altro animale o in un'altra pianta, perché le specie mutano e diventano più o meno adatte a riprodursi, a seconda del momento e dell'ambiente. Questo è Darwin in nuce
   
Il mondo non è uno solo: l'universo contiene un numero infinito di mondi passati, presenti o futuri.
Fantascienza visionaria del 60 a.C. (Multi-verso?)

Lucrezio prende anche una cantonata quando afferma: "non fidatevi di quelli che vi dicono che la Terra è sferica", e io sono rimasto davvero stupefatto (è lo stupore degli ignoranti) che ci fosse qualcuno all'epoca che lo avesse affermato. C'era quindi un dibattito scientifico, che scopriamo leggendo il De rerum natura.

Quando Lucrezio muore, le nubi del Cristianesimo erano all'orizzonte e arrivarono, inesorabili e punitrici. Vi potete immaginare.
L'opera di demolizione di Lucrezio e dell'oscuramento del De rerum natura la prese in carico San Girolamo nel quarto secolo, con grande impegno e ottimi risultati, tant'è che l'opera di Lucrezio ha rischiato seriamente di scomparire per sempre. Secondo San Girolamo Lucrezio era "pazzo", "epilettico", drogato da un "elisir d'amore" che lo avrebbe portato al suicidio. Scriveva il De rerum natura nei rari intervalli di lucidità, a parte i quali si dedicava ad ogni genere di nefandezze.
Balle stratosferiche; non sapevo che Feltri, Belpietro e Nosferatu Sallusti avessero avuto cotanto maestro. 

Fatto sta che Lucrezio scomparve completamente fino al 1418, quando Poggio Bracciolini scoprì il De rerum natura in un convento. Per fortuna dell'umanità Bracciolini era un poco di buono, avido e disonesto: sebbene segretario apostolico sotto Bonifacio IX, cominciò a vendere copie dell'opera a destra e a manca.  E nel '500 gli scritti di Lucrezio arrivarono dove dovevano arrivare, a Tommaso Campanella e Giordano Bruno che ne fecero un loro riferimento importantissimo. Come sapete, il primo se la cavò a stento dopo cinque processi e il secondo vi rimase letteralmente "scottato".  

Ma ormai la frittata era fatta e la Chiesa non poté impedire, nonostante la messa all'indice del libro, la sua ulteriore diffusione. Saranno Voltaire e Rousseau, insieme a Newton, a consacrarlo per sempre ed a farlo arrivare fino ai giorni nostri come un testo fondamentale. 

Giustizia è fatta, ma mi domando dove sarebbe oggi il sapere se Lucrezio non fosse stato "dimenticato" per 1500 anni. Fu un delitto, e non dobbiamo abbassare la guardia.    

Tutte le immagini sono tratte da Wikipedia.       
   

venerdì 18 marzo 2011

Nucleare: quant'è difficile la verità! Ma forse...


Avvertenza: questo post è lungo un chilometro, però in mezzo c'è una pausa caffè :-)

Un povero "uomo della strada" come me che voglia farsi un'idea su quale sia il reale pericolo dell'energia nucleare per uso civile, si tolga ogni illusione. Mission impossible. Provi a leggere qui e là e hai più dubbi di prima, allora provi a leggere solo "qui" o solo "là" e diventi quello cha ha preconcetti ideologici. E non mancano le sorprese.
Per esempio ho scoperto che si può provare, dati ufficiali alla mano, che la produzione di energia idroelettrica è molto più pericolosa di quella nucleare. Ma forse (che brutta parola è "forse") il problema sta nella metodologia che bisogna adottare quando si devono fare analisi rigorose e neutrali.

Mi spiego: a fronte di un evento imprevisto che ha causato danni alla vita umana, cosa devo misurare per capire l'entità del danno? Non sembra difficile: conto i decessi accertati, quelli che inequivocabilmente sono attribuibili direttamente o indirettamente all'evento dannoso.
Bene, applicando questo metodo al disastro di Cernobyl, scopro che i decessi accertati sono stati 65 (sessantacinque). Sorpresi? Andate a leggere il rapporto del 2006 (siamo a vent'anni dopo l'evento) pubblicato da ONU e AIEA, qui. Un riassunto dei dati lo potete trovare su Wikipedia, qui.

Usando lo stesso metodo, posso contare i decessi accertati in seguito al più grave disastro dovuto alla rottura di una diga costruita dall'uomo per la produzione di energia elettrica: 171.000 (centosettantunomila). Si tratta del crollo della diga di Banqiao, nel 1975 in Cina, dettagli qui. Potrei mettervi pure il link del rapporto cinese ufficiale ma è scritto solo in mandarino.  
Quindi, se devo attenermi rigorosamente ai fatti e ai numeri, nessuno mi può contraddire se affermo che, contando i decessi accertati dei due più gravi disastri noti (ma anche se raffronto tutti gli incidenti noti), la produzione di energia idroelettrica ha causato 2.600 volte più morti di quella nucleare. Ricordate il Vajont?

C’è qualcosa che non va? Vediamo. Nel caso della rottura della diga, quando hai finito di contare i poveri morti, hai finito davvero. Nel caso dell’incidente nucleare devi contare anche le morti presunte, passate e future (attenzione, i rapporti di cui sopra già comprendono i vent’anni dopo l’incidente). E come si fa? Si analizzano i dati epidemiologici che sono imprecisi, diversamente interpretabili, potenzialmente filtrati dall’autorità e infine manipolabili da interessi (o ideologie) contrapposti. Così, se volete cercare questi dati scoprirete che nel caso di Cernobyl si va da 4.000 morti presunti dei rapporti ufficiali ai 6.000.000 del rapporto di Greenpeace, eccolo qui. Ovviamente ci sono anche altri rapporti che presentano cifre intermedie tra questi due estremi. Un bailamme di cifre che, se non sei un addetto ai lavori, non riesci a interpretare. Che fai, accetti per fede i dati dell’ONU o quelli di Greenpeace? 
Dicevo prima di analisi "rigorose e neutrali"; ho proprio l'impressione che con il nucleare non siano possibili, neanche per gli addetti ai lavori. Mettiamoci nei panni di un epidemiologo che ha constatato 2 casi di un tumore specifico, contro un solo caso dell'anno precedente. Come fa a essere sicuro che il caso in più è dovuto alle radiazioni? Ecco la gigantesca differenza nei dati. Socrate direbbe che siamo in presenza di una aporìa: tutte le risposte sono valide e nessuna è giusta.    

Poi ci sono le deportazioni, eufemisticamente dette evacuazioni. Ti dicono che devi lasciare la tua casa, e quando l’hai lasciata scopri che è per sempre. Nel caso di Cernobyl furono deportati circa 350.000 abitanti, nel caso della diga, tenetevi forte, 11 milioni (fu registrata la distruzione di 5.960.000 abitazioni). E’ un po’ morire anche questo, no?   

E l’ambiente? Per quanto possa essere stato devastato, dopo catastrofi come Cernobyl e Banqiao l’ambiente si riprende, spesso alla grande. Sia nei territori allagati dalla diga, sia nell’area di Cernobyl, le cose vanno bene. Addirittura a Cernobyl si parla di oasi faunistica, con grande diversità di specie che sono tornate a colonizzare la zona, traendo grande vantaggio dall’assenza dell’uomo. Certo che se l’uomo fosse assente dovunque… ops, scusate, mi è venuta così.  
     
Quale tipo di produzione di energia costa di più? Qui le cifre le vedete deformarsi in maniera incredibile a seconda degli interessi in gioco. Una cosa ho capito, però: non è possibile dire quanto costa la produzione di un kilowatt con l’energia nucleare senza considerare i costi dello smaltimento delle scorie e della dismissione delle centrali obsolete. Se vuoi mantenere uno standard di sicurezza elevato, devi aggiornare le tue centrali, il che vuol dire rifarle interamente ogni 50-60 anni, spegnendo quelle vecchie. Un botto, al punto che la produzione con il nucleare diventa non più conveniente.
Per non parlare dei costi di risanamento dopo un grave incidente: il “sarcofago” che copre Cernobyl, costruito in fretta e furia nel 1986, è molto danneggiato e dev’essere sostituito. Era progettato per durare 30 anni e ci siamo quasi. Non dimentichiamo che nel nocciolo della centrale c’è ancora una temperatura di circa 1.000 gradi e ci sarà per chissà quanti secoli. Il progetto esecutivo per la nuova copertura c’è; quello che manca è solo un miliarduccio di € per portarlo a termine. E dopo alcuni decenni: daccapo, non si sa per quante volte. Ce n'è da distruggere qualunque bilancio pubblico.

 
"Forse" dobbiamo spostare un po' a monte il ragionamento.
Invece di cercare un’oggettività impossibile, che supporti noi cittadini e consumatori nelle valutazioni, proviamo a porci una domanda diversa: perché serve sempre più energia?
Perché l’attuale paradigma dell’economia non può fare a meno di una parolaccia: crescita. Del PIL, del consumo e del profitto. Con relativo incremento esponenziale del consumo di energia. Dimenticandoci spesso che il PIL aumenta non sempre per ragioni virtuose: vendere armamenti fa aumentare il PIL; in termini economici le armi sono "asset" cioè "beni" (!!!) quanto le merendine e i televisori. 

Però anche un deficiente capisce che ragionare in termini di crescita continua attingendo a risorse limitate non è solo stupido: è proprio una stronzata. Prima o poi il sistema collassa (mi sa che questa l'aveva già detta qualcuno tanto tempo fa... un tipo col barbone...). Ma siccome il sistema è governato dai pochi ricchi sempre più ricchi, se a questi pochi non gliene frega niente di pensare un po’ oltre la loro morte, i problemi energetici e ambientali saranno a carico di qualcun altro prossimo venturo. Tanto a morire da ricchi ci arrivano comunque.

Servirebbe essere visionari e allo stesso tempo competenti, magari un pizzico altruisti, per cambiare ‘sto maledetto modello economico. Ce n’è di gente così? Si può cambiare il modello?
C’è chi ci crede: sono i sostenitori dell’economia dello stato stazionario (steady state economy). Cliccate qui per saperne di più.
Partendo dalla considerazione che tra il 1900 e il 2005 il PIL mondiale si è moltiplicato di un fattore 24, e che la Terra è una sola, i sostenitori propugnano il cambiamento del modello economico come unica via per non morire; anzi, per vivere meglio.
Non è l’idea di quattro squinternati; ci sono economisti seri che ci stanno lavorando. L’idea di base è che stabilizzando il tasso di crescita della popolazione a zero è possibile stabilizzare i consumi e la produzione, quindi mantenere costante il dispendio di energia e poi progressivamente ridurlo ottimizzando la filiera dalla produzione al consumatore. L’organizzazione più attiva su questo modello si chiama CASSE (Center for the Advancement of the Steady State Economy), qui. Nel 2010 CASSE ha organizzato la sua prima conferenza e ha prodotto un rapporto (“Quando il troppo è troppo”) molto interessante che trovate sul sito, sia in forma riassunta che completa. 


Un altro ente impegnato su questo fronte è la commissione inglese per il Sustainable Development, che ha prodotto un documento più articolato sul tema: "Prosperità senza crescita?" (clicca per scaricarlo). Affascinante, a me sembra tutto fattibile.
Credo che il primo a parlarne in Italia sia stato Beppe Grillo (e chi, se non lui?), grande fautore della stabilizzazione se non addirittura della decrescita (clicca).

Utopie? Con questa favola delle "utopie irrealizzabili" non andremo mai da nessuna parte. Spero che con il sacrificio dei giapponesi (urka, non è la prima volta, vero?) qualcosa cambi davvero. “Uniti” è la parolina magica, uniti non “contro” ma uniti “per”.
Forse (ancora ‘sto benedetto “forse”) stiamo vivendo i primi giorni della consapevolezza.      


Infine, un pensierino sul futuro referendum italiano sul nucleare. Ricordo benissimo quello dell'86 e ricordo che avevo molti dubbi. Non mi sentivo competente a sufficienza per una decisione serena. Alla fine votai contro il nucleare, ma qualche dubbio mi era rimasto.
Trovo invece che questa volta è tutto molto più semplice, non ho dubbi; non a causa del disastro giapponese ma a causa del cosiddetto "governo" italiano.
Se, per assurdo, fossi chiamato a esprimermi sulla costruzione del più grande ad attrezzato ospedale pediatrico del mondo, sapendo che l'iniziativa è partita da quello specchio di virtù che è il "governo", voterei contro. Perché saprei per certo che hanno mentito su tutto come sempre, e che come sempre lo scopo apparente è solo uno scudo dietro il quale il solito comitato d'affari farebbe soldi a palate.
Figuriamoci le centrali nucleari; no, non se ne parla proprio.  


P.S. C'è una grande omissione in tutto questo discorso: le energie rinnovabili. A queste dedicherò un altro post in futuro, sempre con la consueta ignoranza.    

sabato 12 marzo 2011

Vita extraterrestre. Rivoluzione culturale? Io dico di no.

Europa
Qualche giorno fa i telegiornali hanno dato notizia, più o meno coloritamente, della scoperta di fossili batterici in un meteorite trovato molti anni fa in Antartide. Come al solito la faccenda mi ha intrigato parecchio e mi sono documentato. Posso anticipare la conclusione: da un punto di vista scientifico potremmo dire che la notizia non è ancora "vera", ma promettente.
Facciamo il punto parlando facile facile, che poi è l'unico modo in cui mi posso permettere di parlare.

Lo studio è serio, è durato una decina d'anni ed è stato pubblicato sul Journal of Cosmology (qui) da Richard Hoover, astrobiologo di rispettabile fama, con l'invito agli altri scienziati di fare le loro osservazioni in merito. Non è la prima volta: nel 1996 un altro astrobiologo, David McKay, pubblicò uno studio che sosteneva la presenza di tracce di vita su un meteorite. Anche allora, un giusto scetticismo (pilastro fondamentale della ricerca scientifica) accolse le affermazioni di McKay.
Scetticismo non significa "non dire stronzate"; vuol dire che l'argomento è aperto e investigabile, vale la pena di cercare altre evidenze, ma finché non ce ne sono l'ipotesi resta un'ipotesi.

Il succo della recente pubblicazione di Hoover è questo: secondo lui in un meteorite ci sono evidenze di resti fossili di batteri, alcuni molto simili ai batteri terrestri, altri molto diversi e sconosciuti. Ecco due foto che consentono la comparazione tra l'eventuale fossile ed il vero batterio così com'è noto:

il supposto batterio meteoritico

il suo omologo reale

Naturalmente la ricerca non si limita a paragonare due foto cercando un'eventuale "aria di famiglia" ma è molto più sofisticata, analizzando centinaia di dati ottenuti con analisi complesse. Siccome non ci capisco niente, devo fare atto di fede. So però che ci sono già moltissime prese di posizione e altre ne arriveranno: come al solito la comunità scientifica è divisa sulla validità della scoperta. Ma nessuno ha detto: "è un vicolo cieco, smettila". Anzi.

L'obiezione principale allo studio di Hoover è di questo tipo: "Caro collega, attenzione a non prendere lucciole per lanterne. La materia inorganica, avendo tutto il tempo che vuole, si può organizzare in forme del tutto simili alla vita, che però vita non sono". L'obiezione è sensata: è simile alla famosa affermazione del fisico Rutherford sulla scimmia che, posta davanti a una macchina per scrivere per un tempo infinito, scriverà prima o poi la Bibbia.
E poi anche il migliore degli scienziati, e precedenti ce ne sono numerosi, può cadere nell'errore di voler dimostrare a tutti i costi una tesi preconcetta, specialmente se ha dedicato a questa tesi molti anni della sua vita. Ma Hoover mi sembra onesto: ha pubblicato il suo lavoro con l'invito esplicito a cercare errori.
Affaire à suivre, anche se mi aspetto questa conclusione: lo studio non costituirà la parola definitiva, ma neanche le obiezioni metteranno la pietra tombale. Quindi, continuare a cercare

Intanto io che non sono uno scienziato sono convinto che, se non adesso, prima o poi le conferme arriveranno. Semplicemente perché mi sembra altissimamente improbabile un'affermazione che faceva un mio libro scolastico più di quarant'anni fa: "la vita è presente solo sulla Terra". Chissà dove avevano preso l'informazione; almeno avrebbero potuto scrivere che "non ci sono evidenze di vita al di fuori della Terra". Perfino quarant'anni fa mi era sembrata un'idiozia.

Oggi nessuno studioso o divulgatore oserebbe più fare un'affermazione del genere, e questa è già una grande evoluzione del pensiero. Anzi, anche solo parlando del sistema solare, nessuno affermerebbe più categoricamente che non c'è vita sugli altri pianeti. Ovviamente parlo di vita, non d'intelligenza; magari di quest'ultima parliamo un'altra volta.

Oggi non abbiamo ancora evidenze ma le stiamo cercando, perché crediamo che la presenza di vita (oggi o in un tempo del passato remoto) nel sistema solare al di fuori della Terra sia probabile. Che cosa ce lo fa credere? L'acqua.
L'acqua è enormemente più diffusa nel sistema solare di quanto si supponesse fino a venti o trent'anni fa, quando ancora non era stato possibile guardare più da vicino e analizzare i pianeti e soprattutto i loro satelliti. Perfino sulla Luna, il posto più arido che si possa immaginare, è stata trovata l'acqua (missione LCROSS, qui).

Nel sistema solare i "sorvegliati speciali" per l'eventuale presenza di vita sono due: Enceladus, satellite di Saturno, e Europa, satellite di Giove. Ambedue sono ricoperti da uno spesso strato di acqua ghiacciata e ambedue nascondono sotto al ghiaccio enormi quantità di acqua allo stato liquido, più di quanta ce ne sia in tutti gli oceani terrestri. A questi bisogna aggiungere Marte, in un tempo lontano ricoperto da oceani, dove nei prossimi anni si cercheranno delle evidenze fossili di vita.

Enceladus

Intanto c'è un posto, sulla Terra, che presenta condizioni molto simili a Enceladus ed Europa: il Polo Nord. Qui, l'attenzione degli scienziati è concentrata su una vastissima zona chiamate "Cresta di Gakkel", un altipiano che presenta al centro un’estesa vallata:



La Cresta di Gakkel in sezione. Clicca per ingrandire.

Qui si ritiene che la vita possa aver seguito un cammino evolutivo diverso dal resto del pianeta, a causa dell'isolamento geografico dagli oceani durato una trentina di milioni di anni. Le prime evidenze già ci sono: nuove specie in quantità tale da spingere a finanziare nuove spedizioni che avverranno prossimamente. Che ci sia un pezzetto di Europa sulla Terra? Per saperne di più: qui.

Indizi, indizi e ancora indizi. In definitiva, non abbiamo ancora detto di cosa: è possibile, probabile, da investigare senz'altro, che la nostra vita non abbia avuto origine sulla Terra.
Voi la riterreste una rivoluzione culturale? Io no, sto solo aspettando che qualcuno mi dica che quello che penso da tempo è vero.
Perché lo penso? Perché viviamo in un pianeta di un sistema periferico di una galassia periferica e non abbiamo proprio idea di quanto ci manca per capire. Non siamo i protagonisti ma le comparse di un’opera che non conosciamo. Ma di che parla l’opera? A proposito, e il regista?    

lunedì 7 marzo 2011

8 marzo: storia, leggenda e triste attualità


L'origine della festa dell'8 marzo, quella che fa risalire la ricorrenza al ricordo di un incendio del 1908 in un'industria tessile di New York, non risponde a verità. Secondo questa versione, un gran numero di donne perse la vita perché le uscite erano state bloccate dai proprietari della fabbrica dopo numerose giornate di sciopero. 
Molti, moltissimi (compreso me fino a qualche tempo fa) ne sono convinti, e invece il fatto in questione non è mai avvenuto, e non si sa perché si sia ormai cristallizzato nella nostra memoria collettiva.

In realtà l'origine della giornata internazionale della donna è molto più interessante perché è frutto di un movimento politico. La storia vera è riassunta sul sito ufficiale dell'ONU: qui. E con maggiori dettagli su Wikipedia: qui.
E' una storia che comincia nel partito socialista americano nel 1909 e, passando per la II Internazionale Socialista di Copenaghen, approda in Unione Sovietica dove, nel 1921, la conferenza internazionale delle donne comuniste fissa la data dell'8 marzo come "Giornata internazionale dell'operaia". Guardate la bellezza e l'attualità di questo manifesto sovietico del 1932:

(clicca per ingrandire)

La scritta del poster recita: "L'8 marzo è il giorno della ribellione delle donne lavoratrici contro la schiavitù della cucina. Di' NO all'oppressione e alla mediocrità del lavoro domestico".

E che dire di quest'altro degli anni '60 che sembra provenire direttamente dal Dottor Zivago?



Comunque, dal 1909 sono trascorsi più di cent'anni e abbiamo fatto giganteschi progressi, infatti oggi siamo qui:




E con tendenza al peggioramento, almeno alle italiche latitudini, visto lo sdoganamento mignottocratico del nobile concetto "tu me la dai e io ti trovo un posto in politica o in televisione, che poi è la stessa cosa".

Carissime, buon 9 marzo, 10 marzo, 11 marzo, 12 marzo... 31 marzo, aprile, maggio, giugno, luglio, agosto, settembre, ottobre, novembre, dicembre, gennaio, febbraio...   6 marzo, 7 marzo a voi tutte con tanto affetto.
Giorno verrà e, per quel pochissimo che posso, contate su di me.

sabato 5 marzo 2011

Qui si fa l'Italia o si muore

Giacomo Matteotti

Il 16 agosto del 1924 il cadavere di Giacomo Matteotti fu ritrovato nella Macchia della Quartarella, un bosco a 25 Km da Roma.
Il deputato socialista aveva denunciato in parlamento i brogli e le violenze ai seggi che avevano condotto al successo elettorale del partito Fascista nelle votazioni del 6 aprile dello stesso anno.
Dopo quel discorso, Matteotti aveva detto ai suoi compagni di partito: "Io il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me".
Così fu.

Dopo l'omicidio Matteotti si scatenò una violenta polemica senza esclusione di colpi tra l'opposizione e la maggioranza fascista sulle responsabilità dell'attentato, e la stampa socialista accusò Mussolini di essere il mandante dell'assassinio. Coloro che additavano il regime come responsabile dell'omicidio furono chiamati "speculatori della Quartarella", con una tecnica tristemente attuale che avrebbe indotto Luigi Einaudi, vent'anni dopo, a scrivere:    

"Consueto stravolgimento del senso proprio delle parole, per cui l'infamia non cade sul ladro bensì su quegli che denuncia il ladrocinio. Invece di essere grato alle osservazioni altrui, le quali gli permettono di perfezionare opinioni e propositi, l'uomo criticato grida alla speculazione di chi lo attacca".

Luigi Einaudi

Le polemiche cessarono il 3 gennaio 1925, quando Benito Mussolini affermò in parlamento:

"Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto."

Il resto è storia ma, a quanto pare, la storia non insegna. C'è una parola, nello scritto di Einaudi, che m'inquieta molto: "consueto". Non era la prima volta e non sarebbe stata l'ultima, e oggi ne abbiamo tragiche e continue conferme. Anzi oggi il sistema è molto più evoluto: non è necessario uccidere un Matteotti, ma semplicemente inventarsi qualche frequentazione omosessuale o altre amenità del genere, passando per il colore dei calzini del Matteotti di turno, attraverso la stampa serva del piccolo uomo.  

"Consueto" fino a quando? Quo usque tandem? Non ne posso più di storie italiane; la tentazione di non volerne sapere più nulla è fortissima.
La dimensione della delusione e della vergogna è tale che è più facile cancellare l'Italia dai propri pensieri, soprattutto vivendo all'estero.

"Non è il paese che sognavo" ha detto Carlo Azeglio Ciampi.
Cara opposizione, è finito il tempo di sognarla, un'altra Italia. Svegli, uniti, attivi e subito, perché qui si fa l'Italia o si muore. Copyright Giuseppe Garibaldi 1860.