Mi sono sentito sommerso dall’insopportabile e troppo facile cordoglio multimediale per Steve Jobs e Marco Simoncelli. Uno non può più morire in santa pace, subito lo twittano e lo sommergono di pollici in su, tanto costano solo un click.
Il pensiero mi è andato subito a un gigante morto nel 1993 in punta di piedi: Albert Sabin.
Ve lo ricordate? Vi dice nulla questa foto?
Spero di sì, ma in caso contrario vi aiuto: tornate con la mente a quella zolletta di zucchero con la gocciolina rosa che vi hanno dato da bambini: il vaccino antipolio.
Sabin ha dedicato tutta la sua vita alla ricerca e alla diffusione del vaccino, salvando dalla cosiddetta “paralisi infantile” centinaia di milioni di bambini.
Osteggiato prima in Europa dal nazismo (era un ebreo polacco) e poi in America, dove era fuggito, perché si contrapponeva al più patriottico e meno efficace vaccino Salk, coronò la sua opera con un regalo che nessun uomo deve mai dimenticare:
“Tanti insistevano che brevettassi il vaccino, ma non ho voluto. È il mio regalo a tutti i bambini del mondo.”
Sabin aveva perso due nipotine, Amy e Deborah, uccise dalle SS a Bialystok, in Polonia. Aveva dato gli stessi nomi alle sue due figlie, che saranno poi tra le prime “cavie” umane del suo vaccino.
Non era un santo, era un giusto. L’idea di brevettare il vaccino, che gli avrebbe assicurato un’immensa ricchezza, lo aveva sfiorato. Quando si rese conto che il processo di brevetto sarebbe durato a lungo, ritardando così la disponibilità a tutti del vaccino, rinunciò. Visse per tutto il resto della sua vita con lo stipendio di docente universitario.
Sabin non era un campione di motociclismo, era solo un campione. Senza nulla togliere ai campioni di moto.
Anche Steve Jobs era un campione, anche Steve Jobs aveva detto “non m’interessa diventare il più ricco del cimitero”.
Ma ci sono quelli che dicono e ci sono quelli che fanno.
Chiudo con un pensiero ispiratore di Albert Sabin:
“La giovinezza non è un periodo della vita, e uno stato d'animo che consiste in una certa forma della volontà. In una disposizione dell'immaginazione, in una forza emotiva, nel prevalere dell'audacia sulla timidezza, della sete dell'avventura sull'amore per le comodità. Non si invecchia per il semplice fatto di aver vissuto un certo numero di anni, ma solo quando si abbandonano i propri ideali. Se gli anni tracciano i loro solchi sul corpo, le rinunce all'entusiasmo li tracciano sull'anima. Essere giovane significa conservare a sessanta, a settant'anni, l'amore del meraviglioso, lo stupore per le cose sfavillanti e i pensieri luminosi, le sfide intrepide lanciate agli avvenimenti, il desiderio insaziabile del fanciullo per tutto ciò che è nuovo, il senso del lato piacevole e lieto dell'esistenza. Resterete giovani finché il vostro cuore saprà ricevere i messaggi di bellezza, di audacia, di coraggio, di grandezza, di forza che vi giungono dalla terra, da un uomo o dall'infinito. Quando tutte le fibre del vostro cuore saranno spezzate e su di esso si saranno accumulate le nevi del pessimismo e il ghiaccio del cinismo è solo allora che diverrete vecchi.”
Ecco uno che resterà giovane anche dopo la sua morte.