domenica 31 luglio 2011

Dolce e chiara è la notte e senza vento

Il manoscritto dell'Infinito 

Che cos’è la poesia?
Io so che Leopardi mi emoziona sempre, non mi stanca mai. Ma non affido le mie emozioni solo al recupero delle reminiscenze scolastiche: la poesia, quando è tale, mi piace tutta.
Il verso che fa da titolo al post, il primo della “Sera del dì di festa” è secondo me un tale capolavoro di ritmo e accenti da essere davvero immortale. Peccato che possa davvero apprezzarlo solo chi è di madre lingua italiana. Immaginate lo sforzo di un traduttore nel rendere il verso in un’altra lingua!
Credo che ognuno di noi possa essere cosciente di essere magari uno scrittore, ma non di essere un poeta. Credo che nessuno possa sapere con certezza di esserlo; solo chi legge la poesia può dire se ha sentito un brivido dentro e in mezzo a quelle righe. Non è solo tecnica, non è solo fantasia, non è solo creatività. E’ tutte queste cose insieme, comandate e coordinate da una potente sensibilità.
E’ musica con le parole, e anche un musicista non sa se le sue note saranno apprezzate. Mi piace pensare che una persona non udente leggendo Leopardi possa farsi un’idea di che cos’è la musica.
Un’altra caratteristica della poesia è che si può leggere e rileggere cento volte e non stanca. Anzi, spesso l’ennesima lettura ci fa scoprire un piacere in più.
Date un’occhiata a questi versi di Neruda:

                         no due ali,
                      ro          un violino,
                  cor               e tante cose
               oc                      infinite, ancor
          cielo                           non nominate.
       al
  salire
Per

E dire che hanno sofferto di una traduzione! 

Ovviamente, potreste mai immaginare che io non abbia scritto poesie? Siccome però ritengo di non essere un poeta, non nel senso appena detto, spero che vi diverta questo tecnicismo: ho usato una sola vocale.

Ecce spes

Se scende neve nelle sere tetre,
l’etere è greve, meste le mense   
e deserte d’essere le terre; 

se vedete belve per le selve nere,
e scendete erte scevre d’erbe,
né verde, né feste, né speme;

per tre, per sette, per eterne ere
stenterete nelle spesse melme,     
vedrete sempre le stesse streghe.

Ecce spes: leggere e fresche dee,
perle emerse nelle vette estreme
le stelle, vere ebbrezze d’essere   
splendere vedrete.

Vi si è un po’ deformata la bocca, vero?

sabato 23 luglio 2011

Quando il tempo non c'era


Partiamo dall’osservazione del cielo in una bella notte stellata. La cosiddetta ”sfera celeste” è una convenzione che ci fa immaginare le stelle tutte disposte sulla superficie di una sfera al centro della quale ci siamo noi. Questa convenzione è indispensabile per fornire delle coordinate del cielo e quindi la posizione degli astri ma ci induce a un’immagine sbagliata. Anche quando diciamo “un tappeto di stelle” siamo indotti a immaginarle posate su un unico piano.

Ovviamente, invece, le stelle hanno tutte distanze diverse dalla Terra, da quelle a pochi anni-luce da noi a quelle lontane miliardi di anni-luce, che non sono visibili neanche con i più potenti telescopi. Prendiamo ad esempio Sirio, la più luminosa del cielo notturno; la vediamo com’era 8,6 anni fa, perché la sua immagine ci mette 8,6 anni ad arrivare ai nostri occhi. Anche quando guardiamo il sole lo vediamo com’era 8,33 minuti fa. E così via per tutte le altre, di ognuna vediamo il passato; quanto passato dipende dalla loro distanza da noi. Se su un pianeta che orbita intorno a una stella che dista da noi 2000 anni luce ci fosse in questo istante un astronomo che guardasse la Terra con un potentissimo telescopio, potrebbe vedere l’imperatore Tiberio che prende il sole nella sua villa a Capri. E magari c’è davvero questo astronomo, chissà.
Quando guardiamo il cielo stellato, i nostri occhi diventano una macchina del tempo. A noi scegliere quanto indietro vogliamo andare.

Tenendo ben presente questo concetto abbastanza banale, che è una verità della fisica e non una teoria, spingiamoci un po’ oltre e domandiamoci: se riuscissimo a guardare nella direzione dove l’universo è nato, verso il suo centro, e se teoricamente non avessimo limiti di distanza nella visione, che cosa potremmo vedere? Potremmo giungere a vedere il famoso istante zero? No, perché per i primi 380.000 anni della sua vita l’Universo era così denso e la gravità così potente che nessuna radiazione poteva uscirne, neanche la luce. Dobbiamo accontentarci di arrivare molto vicino a quell’istante (e 380.000 anni è una distanza molto vicina, rispetto ai 13,7 miliardi di anni di vita dell’Universo).
Ora togliamo il condizionale, perché questa immagine esiste davvero, eccola:

Clicca per ingrandire

In nove anni di lavoro, dal 2001 al 2010, la sonda WMAP ha misurato la radiazione cosmica di fondo, ciò che resta del big bang, e ne ha fatto una mappa molto accurata. Questo è l’aspetto dell’Universo bambino, quando per la prima volta ne è scaturita la luce. Le stelle non sono ancora nate, tutto è solo una gigantesca palla d'idrogeno. Le variazione di colore sono variazioni di densità e di gravità dalle quali si formeranno le stelle e le galassie. Se non ci fossero state queste differenze di densità della materia, l’immagine sarebbe di un solo colore, le stelle non sarebbero mai nate e neanche questo blog. :-)

E’ ora di arrivare al nocciolo della questione. Non vi sarà sfuggito che qualche riga più sopra ho scritto “380.000 anni è una distanza molto vicina”. Come? Il tempo è una distanza? Ebbene sì, e ne abbiamo l’evidenza se ritorniamo sul discorso dell’occhio come macchina del tempo; ecco perché si parla di spazio-tempo. E qui viene il bello, la vertigine di pensiero che vi avevo promesso: lo spazio è “dentro” l’Universo, e quindi anche il tempo. Fuori dell’universo il tempo non c’è.

Che vuol dire? Che l’espressione “prima del big bang” non ha senso, perché il “prima” non c’è, così come non c'è il "fuori".
Impossibile immaginare una cosa così, è al di là di ogni comprensione umana. Eppure, o tutti gli scienziati sono impazziti oppure dobbiamo cominciare a pensarci. Io, almeno, ci penso. E non so se provare spavento o emozione; tutt’e due.
E il naufragar m’è dolce in questo mare.  

Da questo mare scaturisce anche una fondamentale implicazione teologica. Ma io non dico più niente, provate a pensarci.    

venerdì 15 luglio 2011

Dichiarazione anticipata di trattamento - Una legge contro l'uomo


Cara Binetti,

lo so, tu porti il cilicio, ma perché vuoi renderlo obbligatorio per tutti?
Lo sai che gli emendamenti proposti da voi integralisti cattolici alla DAT sono contrari non solo alla Costituzione (art. 32) ma anche alla Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo e alla Convenzione Internazionale sui diritti civili e politici (diritto all'auto-determinazione)?

Sì, lo sai. Il fatto è che dovevi vendicarti del caso Englaro, bloccare ogni possibile scappatoia dalla sofferenza a te tanto cara. E così hai partorito una legge contro l'uomo, contro la dignità, contro la libertà.
Ma sai anche che hai sfornato una legge contro la Chiesa? Forse non ricordi tanto bene il Catechismo? Te lo ricordo io (puoi cliccare anche qui):

2278 L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all' “accanimento terapeutico”. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente.

Come la mettiamo? E' vero, dimenticavo: durante il caso Englaro anche i tromboni in tonaca facevano finta di aver dimenticato il Catechismo. Quindi puoi ignorarlo anche tu.

Ma dato che sei medico, forse t'interesserà conoscere che cosa è raccomandato ai medici dalla loro federazione in Svizzera: clicca qui.
Come vedi la dichiarazione anticipata è vincolante e prioritaria per il medico, e non c'è "sondino di stato" che tenga.  
Che dire poi del formulario per la dichiarazione, veramente sorprendente: qui.
Io mi sento libero quando leggo che posso decidere questo:

“Lo stato di presenza cosciente e la capacità di comunicare sono per me più importanti di un alleviamento ottimale di dolori e di altri sintomi.”

E ancora più libero quando leggo che posso sottoscrivere questo:

“Non acconsento a un apporto artificiale di liquidi e all’alimentazione artificiale (mediante sonda gastrica, infusione, impianto chirurgico di una sonda per l’alimentazione) a tempo indeterminato.”
  
E che questa mia volontà sarà rispettata indipendentemente da quello che pensano i medici, i quali non possono che sottostare ad essa.

E tu invece come ti senti quando leggi di queste regole dei senza-Dio? Quando parti per una crociata contro la Svizzera?
Sai, qui le Binetti sono condannate a sgranare il loro rosario in triste solitudine; sarebbe ora di liberarle e consentire anche a loro di emendare le leggi. Non ti pare?
Al Santo Sepolcro!  

domenica 3 luglio 2011

La Scuola Ionica e il percorso accidentato della conoscenza

Mileto

Se l’evoluzione del pensiero umano fosse una bella storia lineare in cui tutti quelli che vengono dopo imparano sempre dai loro predecessori, oggi saremmo molto più avanti nel nostro grado di comprensione del mondo. Idealmente la nostra missione ce l’ha spiegata Seneca, ne abbiamo parlato qui: ogni uomo aggiunge un pezzetto di conoscenza al bagaglio dei nostri antenati e lo mette a disposizione di chi verrà dopo.

Questa missione ideale l’abbiamo già trovata clamorosamente smentita nel caso di Lucrezio (qui), dimenticato, o meglio “killerato” dalla Chiesa per quasi mille e cinquecento anni, ma ancor più clamoroso è il caso della Scuola Ionica (o Scuola di Mileto), che intorno a cinque secoli prima di Cristo stava gettando le basi della comprensione dell’Universo e della scienza moderna, una rivoluzione sostanziale del pensiero che finì completamente nel dimenticatoio, per essere iniziata da capo solo con Copernico e Galileo Galilei. Due millenni di stop.
Di chi la colpa? Beh, una grossa fetta di responsabilità ce l’ha quel marpione di Aristotele. Ma procediamo con ordine.

Mileto era una colonia greca dell’Asia Minore che ebbe il suo periodo di massimo splendore intorno al VI secolo a.C. Per capirci, siamo nell’attuale Turchia:

 

Per qualche secolo fu un faro del sapere, grazie soprattutto a Talete (624-547 a.C.), che è considerato il fondatore della Scuola. Fu un validissimo astronomo, ma anche lui probabilmente riscoprì quello che era già stato scoperto dalla civiltà egizia, per non dire delle straordinarie conoscenze dei Maya in Sudamerica.
L’importanza fondamentale di Talete sta però nell’aver affermato per la prima volta che il mondo può essere compreso, che i suoi fenomeni obbediscono a leggi di natura che possono essere investigate. Sembra poco? No, è tutto, se consideriamo che prima di Talete solo gli Dei avevano la facoltà di fare e disfare, per di più senza regole.

L’influenza di Talete fu enorme su tutto il “gotha” dei pensatori dell’epoca e dei successivi, sia nell’area ionica che in tutta la sfera d’influenza greca.
Anassimandro (610-546 a.C.) osservò che l’uomo nasce troppo immaturo per badare a sé stesso e che quindi non poteva essere stato creato ma doveva essersi evoluto da un altro animale, secondo lui un pesce (fa sorridere, ma è un passo immenso).
Democrito (460-370 a.C.) disse, tenetevi forte, che spezzando o tagliando qualunque materiale in parti sempre più piccole, si arriva ad un punto in cui non può più essere tagliato, ad una grandezza piccolissima non più divisibile che chiamò àtomos (letteralmente indivisibile).
In Sicilia Empedocle (490-430 a.C.) osservò che l’acqua non riusciva ad entrare in un recipiente se s’impediva di farne uscire qualcosa d’invisibile: aveva scoperto l’aria (non fritta).
Aristarco (310-230 a.C.) osò ancor di più: la Terra non era al centro dell’Universo, né il sole le ruotava intorno ma piuttosto il contrario. Studiando la dimensione dell’ombra della Terra sulla Luna durante un’eclisse, giunse alla conclusione che il Sole era enormemente più grande della Terra e ipotizzò che le stelle non sono altro che soli lontani.    
Tutto questo fiorire d’idee derivava da un presupposto fondamentale sancito da Talete: non è sulla causa prima (che riconduceva inevitabilmente all’arbitrio degli Dei) che dobbiamo indagare ma sul modo in cui avvengono i fenomeni. Dal modo si può risalire alle cause, che un giorno capiremo. Mancava solo una cosa: il metodo scientifico. Ma per questo dovremo aspettare Galileo.

Saltando con nonchalance Socrate e Platone (ma ne parleremo un dì, è una minaccia), arrivò Lui, sua Maestà Aristotele. La scuola Ionica era a Mileto, pur sempre solo una colonia; Aristotele era ad Atene e questo fece una grande differenza. Atene era caput mundi molto prima che Roma lo diventasse; l’imposizione del modello ateniese passava anche attraverso i suoi pensatori.   
Padre del pensiero occidentale, della logica, della retorica e di tante altre cose, Aristotele fu anche padre di alcune aberrazioni che tanto fecero comodo nei secoli successivi a chi aveva un unico interesse: rimettere sul trono gli Dei.
Prima aberrazione: l’Universo è immutabile. Seconda aberrazione: la Terra e l’uomo sono al centro dell’universo. Terza aberrazione: gli atomi non possono esistere, perché l’uomo non può essere composto di entità fisiche prive di anima.  

Cartellino rosso ai pensatori ionici, da mettere in fretta nel dimenticatoio. Ricorderete forse quando abbiamo parlato (qui) del dialogo tra Simplicio e Sagredo nel capolavoro di Galileo: la dottrina di Simplicio è cristiana ma soprattutto aristotelica, perché Aristotele non si discute. Il Dialogo è infarcito di “ma ha detto Aristotele”. Forse se Ary avesse avuto la sfera di cristallo e avesse potuto vedere come sarebbe stato usato dalla Chiesa ci avrebbe ripensato.

Siamo fuori dal rischio dei secoli bui? E possibile, nell’era di Hubble e del CERN che i lumi si spengano? Potrebbe un nuovo Lucrezio essere oscurato?
Non ho la risposta, ma il solo fatto di porci la domanda è buona cosa per restare vigili.