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Vale la pena di trascriverla tutta, questa lettera di Santino Di Matteo al “Parlamento della Legalità”. Toccante, a tratti struggente, è la prova certa che una bestia può diventare un uomo.
Al Professore Nicolò Mannino, presidente del Parlamento della Legalità - San Cipriello (Palermo)
Caro Professore,
ho saputo che il Parlamento della legalità si è fatto promotore di un concorso rivolto ai ragazzi dedicato alla memoria di mio figlio Giuseppe.
Sono felice che da tanto dolore possa nascere qualcosa di buono.
La foto di mio figlio che sorride è appesa in casa mia, ogni volta che la guardo è come il giorno in cui ho saputo che era stato ucciso.
A volte mi fa pensare agli anni in cui ero prigioniero del buio, dove non riuscivo a capire da che parte stavano le cose giuste e la morte camminava con me.
Tanti anni fa ero una persona cattiva, capace di fare del male, mi sentivo come un soldato in guerra che doveva eseguire degli ordini, ma non capivo che erano gli ordini di persone malvagie, capaci solo di ordinare uccisioni, stragi e provocare tanto dolore.
Ricordo che una volta tornando a casa dopo aver seminato la morte mi sono trovato davanti Giuseppe e ho sentito come mi avessero dato un violento pugno in faccia.
Un padre che fa del male deve anche subire lo sfregio di dover abbassare gli occhi davanti al proprio amato figlio.
Poi ho trovato la forza di capire da che parte stanno le cose giuste, ho lasciato quelli che erano i cattivi amici e sono passato dalla parte dello Stato.
Ho detto tutto quello che sapevo sugli omicidi, sulle stragi, sui progetti di morte che dovevano essere compiuti.
Ho salvato delle persone dalla sentenza di morte che aveva pronunciato contro di loro quella che gli altri chiamano mafia, ma che per me erano solo “le cose serie”, ho contribuito a far arrestare e condannare decine di mafiosi, ho aiutato i buoni a vincere sui cattivi.
Certo, questo non cancella il male che io ho fatto, ma ha fatto sì che tanto altro male venisse cancellato. Per questo mi hanno strappato dal cuore quella creatura innocente che è Giuseppe.
Pino Nazio, che ha raccolto il mio racconto e l’ha messo nel libro “Il bambino che sognava i cavalli”, mi ha portato alcuni dei lavori che i ragazzi hanno fatto per partecipare al concorso per Giuseppe “Cavalcando la libertà”, ho visto i disegni, i cartelloni, ho letto le loro lettere.
E’ anche per loro che ho trovato la forza di scrivere questa lettera, per centinaia di ragazzi che dedicano cose meravigliose a mio figlio, per tante persone che non dimenticano il suo sacrificio.
Oggi sono un’altra persona, per questo posso prendere la penna e chiedere perdono.
Perdono a chi?
Perdono a Dio, perdono a tutti coloro a cui ho provocato del male, ai parenti delle vittime, perdono a Giuseppe, perdono ai miei familiari che ho coinvolto loro malgrado nel mio calvario.
Quando mi chiamavano “uomo d’onore”, ero rispettato e temuto, in realtà ero solo una macchina di morte.
Quando ripenso alle cose che ho fatto per la preparazione della strage di un uomo giusto come Giovanni Falcone, alle prove dell’esplosione, allo studio del percorso sull’autostrada che porta a Capaci, al trasporto del tritolo che ha spezzato in un attimo cinque vite, piango lacrime di pentimento.
E sono contento che la sorte mi ha evitato di essere lì il giorno in cui l’autostrada è esplosa a Capaci: secondo alcuni non ero più affidabile per l’organizzazione e hanno deciso di tenermi fuori. E’ vero, ero diventato inaffidabile per i mafiosi perché mi rendevo conto che tutto quel sangue era senza senso.
Caro Nicolò, voglio mettere nelle tue mani questo pentimento perché so che il tuo lavoro con il Parlamento della Legalità serve a portare un messaggio di speranza e di solidarietà tra i giovani.
So che nei vostri incontri c’è sempre un momento che viene dedicato al ricordo di mio figlio Giuseppe che nessun uomo malvagio può sciogliere e portar via.
Anzi, Giuseppe è ormai diventato un simbolo della lotta alla mafia per i tanti uomini che ha fatto condannare e perché ha fatto capire a tutti che “Cosa nostra” non risparmia donne e bambini.
I figli sono figli e non si perdono mai, nessuno te li ammazza per sempre e Giuseppe sarà vicino a me fino a che vivrò.
Sto scrivendo del mio pentimento sapendo bene chi ero e chi sono, sapendo che non è vero che con la morte finisce tutto, che il Parlamento sta facendo parlare Giuseppe, sta intitolando delle sedi a mio figlio, come a lui sono stati dedicati giardini, aule, centri equestri.
Ho girato pagina, voglio sperare che nessuno faccia più quello che ho fatto io quando ero accecato dal buio, ma voglio dire a tutti quelli che ancora non vedono che non è mai troppo tardi per chiedere perdono, per smettere di fare del male.
Voglio fare un appello a tutta la gente di Sicilia che vuole vivere libera dalla paura di non smettere di battersi per ostacolare i mafiosi e i prepotenti.
Voglio che questa lettera ti arrivi il giorno in cui premiate i lavori più interessanti dedicati a mio figlio Giuseppe e se lo ritieni giusto potrai leggerla in pubblico, per farla arrivare a tutti i partecipanti, insieme al mio saluto, alla mia esortazione a non diventare come ero io.
Un abbraccio,
Santino Di Matteo, 22 aprile 2011
Quest’uomo non finirà mai di pagare; l’immagine di suo figlio bambino l’ha condannato a vita.
Voglio dire ai sostenitori della pena di morte: riuscite a immaginare una pena più severa di questa? Un’esecuzione che dura tutti i giorni, le ore e gli attimi di quello che resta da vivere?
Io, da quest’uomo, ora, mi aspetto solo bene.