lunedì 30 aprile 2018

Meccanica quantistica 2: storia di due palline e un gatto


Mi è stato detto che non devo dire “fisica quantistica” ma “meccanica quantistica”, e allora mi correggo, ma sempre fisica è. Quella che tanto fece arrabbiare Einstein, come abbiamo visto nella prima puntata qui.
Vi avevo promesso cose fuori di testa, eccole qua.


Facciamo questo esperimento mentale, facendo finta che si possano applicare i principi della meccanica quantistica al mondo visibile:
supponete di avere due piccole sfere, una rossa e una blu. Le mettete ognuna in una scatola e poi consegnate le due scatole chiuse ad un amico che le dovrà spedire a sua volta a due amici, uno che vive a Parigi e uno che vive a Tokio. Il vostro amico non sa, ovviamente, a chi ha spedito la sfera rossa e a chi quella blu. Finché almeno una delle due scatole non sarà aperta, il dubbio resterà.

Questo stato di cose, in meccanica quantistica, si chiama “entanglement” cioè “intreccio”: il colore di ogni sfera dipende dall’osservazione dell’altra. 


Ora l’amico dell’amico che abita a Tokio apre la sua scatola e vi trova la sfera blu. Istantaneamente la sfera che si trova nella scatola ancora chiusa a Parigi diventa rossa. E’ avvenuto il “collasso” dello stato quantistico: mentre prima il colore dell’una dipendeva da quello dell’altra (entanglement), adesso ogni sfera si fa la sua vita fregandosene dell’altra, come se l’altra non fosse mai esistita. Anzi, si stavano pure antipatiche.  


Di più: finché ambedue le scatole erano chiuse, ognuna della due sfere era contemporaneamente rossa e blu. Attenzione, ho detto “e”, non “o”. 
Se nel mondo macroscopico questo evidente paradosso ci fa sorridere, non è così nel mondo dell’infinitamente piccolo, quello delle particelle elementari, dove la sovrapposizione di stati è la norma. Al punto che il primo postulato della meccanica quantistica recita:
due o più stati quantistici possono essere sommati (sovrapposti), e il risultato sarà un altro stato quantistico valido; e al contrario, ogni stato quantistico può essere rappresentato come somma di due o più altri stati distinti”.
In altre parole sfera rossa+blu è uno stato valido ed “entangled”, sfera rossa e sfera blu sono due stati altrettanto validi e “collassati”.

Sì, vabbè, ma che cavolo c’entrano i colori delle sfere con elettroni, fotoni, neutrini e quant’altro? Sono colorati? No, ma hanno lo spin, cioè (semplifico, mi perdonino i fisici) il senso di rotazione. Se un quanto ruota in senso orario o antiorario (segno + o segno -) fa una differenza in meccanica quantistica che influenza tutte le formule che riguardano i quanti. Quindi, per riferirci adesso al mondo prettamente quantistico, lo spin di un elettrone è sovrapponibile allo spin di un altro elettrone in stato di “entanglement”. Se osservo lo spin del primo elettrone, cambia anche lo spin del secondo elettrone, senza bisogno di osservarlo.

E allora, trascinati dall’entusiasmo quantistico, possiamo applicare questi principi al mondo visibile?  

A questo punto potremmo dire che due squadre di calcio, prima dell’inizio della partita sono “entangled” (contemporaneamente vittoriose e perdenti) perché non sappiamo ancora chi vincerà? No, perché nel 1935 arrivò Erwin Schrödinger con il suo gatto.      

Erwin Schrödinger

Schrödinger, premio Nobel nel 1933, stava un po’ dalla parte di Einstein, ambedue colmi di perplessità sulla meccanica quantistica, che ritenevano una fonte infinita di paradossi che non potevano trovare alcun riscontro nella vita reale. Per dimostrarlo Schrödinger propose l’esperimento che segue (solo mentale, per fortuna non fu mai realizzato).
Mettete un gatto per un’ora in una scatola, nella quale si trova una “macchina infernale” basata sul decadimento o meno di un atomo radioattivo, eventi ugualmente probabili. Se il contatore Geiger misurerà il decadimento dell’atomo si aprirà una fialetta contenente cianuro che ucciderà il gatto. Se viceversa il decadimento dell’atomo non avverrà, il gatto sopravvivrà. Chiudete la scatola e andatevene al bar.


Che succederà al gatto? Siccome non lo sappiamo, dobbiamo affermare che è contemporaneamente vivo e morto? Eh, cari quantistici dei miei stivali?
Il povero Schrödinger non disse proprio così, sto colorando un po’ i fatti. Però questo esperimento stabilisce una volta per tutte la decisa incomunicabilità tra fisica classica e meccanica quantistica.
Einstein non ci dormiva la notte ed è morto senza una soluzione, Hawking pure.
Io aspetto, anche se dovessi farlo per molte vite ancora.   

venerdì 20 aprile 2018

Che fine ha fatto (o farà) la scrittura?




La celeberrima ed abusata frase del “Che” mi ha fatto pensare. No, non al guerrigliero né a Cuba, ma al destino della scrittura manuale. Ho immaginato che fra un secolo spunti fuori un nuovo mito come quello, e che poi si vada in rete a cercare le sue testimonianze scritte. Ecco cosa troveremmo:

 

Aaaaaaaaaagh!!! Orrore! Che stiamo facendo? Dov’è la mano che scrive? Dov’è il volto che comanda quella mano?

Credo proprio che ormai si scriva a mano solo sui banchi di scuola, e si metta solo qualche firma qua e là. Io non conosco più nessuno che scriva lettere a mano.

Tanto per tenerci in esercizio possiamo fare un testamento olografo, che deve obbligatoriamente essere scritto di pugno. Ebbene, sapete una cosa? Io l’ho fatto e dopo mi faceva un male la mano…   

La scrittura è senza dubbio l’invenzione più importante della storia dell’umanità, perché con essa è nata la storia. 
Direte voi: ma perché, se la storia è scritta con il computer cosa cambia? Riguardate le due immagini sopra: cosa cambia? Tutto. Dietro la prima c’è un uomo, dietro la seconda c’è una macchina, sia pure comandata dall’uomo. Nel primo caso l’uomo ha trasmesso un sentire, e per me è evidente. Nel secondo l’uomo ha trasmesso una beata cippa.

Certo, poi possiamo anche decidere di dimenticarci a cosa serve scrivere a mano, perché è troppo fuori dal tempo, antidiluviano. Come accendere il fuoco con i bastoncini quando c’è l’accendino. Il fuoco è sempre fuoco e il testo è sempre testo, possiamo lasciare la scrittura manuale a qualche vecchio calligrafo di un polveroso studio. Lui ha tempo da perdere, noi no.

E se invece io ci provassi? Si può scrivere un blog a mano? Nasce così l’esperimento che segue:
 
 
(cliccate sulle immagini per ingrandire)

Lo so, è una vera porcheria.
Quanto ci ho messo? Circa un’ora in più tra scrittura, scansione e correzioni dell’immagine.

In preda alle mie ormai frequenti mental saws potrei pensare di pubblicare sempre gli scritti nelle due versioni, si può fare.

Ma vale la pena? Dietro l'orribile risultato estetico c'è un valore? Come al solito, non lo so.


(A parte il dolore alla mano)