sabato 28 agosto 2010

Aborto: nessun parli.


C’è una parola che detesto: “abortista”, bruttissimo esempio di quel lessico fuorviante e disonesto che caratterizza l’era della comunicazione asservita. 
Come se esistesse una categoria di persone favorevoli ad ammazzare embrioni e feti. Come se intorno all'embrione, non ci fosse una persona, una famiglia, una storia. Come se la donna fosse solo un'irresponsabile fattrice che, poverina, non sa. 
Io non riesco a immaginare una solitudine più grande di una donna che debba decidere sulla sua gravidanza, appena mitigata dall’eventuale (rara) presenza di un compagno che ne senta la responsabilità quanto lei. Non riesco a immaginare che cosa potesse essere il calvario di questa donna prima le fosse riconosciuto il diritto di decidere, quando l'unica possibilità era scegliere tra il confessionale e il ferro da calza. L'unica cosa importante era che nessuno sapesse.  
Oggi che il passo gigantesco della tutela giuridica è stato compiuto, dobbiamo farne un altro, ancora più difficile: nessun parli. Perché io vorrei che questa donna non fosse mai additata, esposta, giudicata, lapidata. Io vorrei che questa donna fosse messa nelle condizioni di decidere con tutte le tutele di legge possibili, tutto il supporto psicologico, spirituale e medico possibile a una condizione: che lo abbia chiesto.
E se vogliamo davvero aiutarla, questa donna merita tutto il silenzio possibile di chi predica male e razzola peggio.
      

mercoledì 25 agosto 2010

Pena di morte, parliamone


E' di oggi la notizia del ritiro dell'iniziativa popolare sulla pena di morte in Svizzera. Alcuni giorni fa il sondaggio di Ticinonline registrava una pesante maggioranza (59%) di favorevoli all'introduzione della pena di morte in caso di omicidio accompagnato da reato sessuale.
Immagino e spero che l'iniziativa sarebbe stata comunque dichiarata inammissibile perché in contrasto con la costituzione, tuttavia è necessario prepararsi alla discussione tornando ancora una volta sui princìpi, i nostri saggi freni all'emotività.

Una pena deve poter essere pagata integralmente, perché lo scopo della pena non è solo impedire che il reato venga commesso di nuovo, ma anche la riabilitazione; mai in ogni caso la vendetta di stato.
Uccidere è impedire di pagare. Solo uno stato arretrato e violento può concepire che qualcuno, per quanto efferato possa essere il suo crimine, non possa essere mai riabilitato; in questo senso anche il vero carcere a vita (ma di fatto in Europa non esiste più) è incivile. 
E' comprensibile e umano che i familiari di una vittima nutrano un sentimento di vendetta (sicuramente io lo nutrirei, e notate che l'iniziativa partiva proprio dai familiari di una vittima), ma uno stato non può e non deve avallare questo sentimento, tanto più che è ampiamente dimostrata l'inefficacia della pena capitale come deterrente. Se non funziona come tale, resta solo la vendetta.
A contorno, si aggiunga che l'irreversibilità della pena impedisce di riparare un possibile errore giudiziario. E ce ne sono molti.
Se guardiamo cosa accade nei tanti bracci della morte americani, spesso dopo venti o trent'anni la persona giustiziata è diventata completamente diversa da quella che ha commesso il delitto. Non è solo una questione di pentimento (c'è anche quello) ma accade che "bestie feroci" diventino agnellini non perché domati dal sistema ma perché hanno fatto propri dei valori che prima non avevano. Sono molti i veri redenti che, cionondimeno, sono poi inesorabilmente uccisi da una macchina giudiziaria cieca e sorda.       
A questo proposito vorrei suggerirvi di leggere Cella 2455 braccio della morte di Chessman, un libro illuminante su cosa può diventare un condannato a morte in dodici anni di braccio; a me fa male pensare al contributo che avrebbe potuto dare Chessman se non fosse stato giustiziato. Fu poi dimostrata la sua innocenza ma non è su questo che sto riflettendo, piuttosto sull'assoluta necessità del "mai dire mai". 

Non ho parlato della "sacralità" della vita e non voglio farlo, ma vi do qualche elemento su chi invece ne fa la sua bandiera, come la Chiesa Cattolica. Abbiamo sentito papi e cardinali tuonare contro il "relativismo etico", il male della nostra società. Tenete a mente questo e leggete questo articolo del catechismo:

2267 L'insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell'identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani.


Ma come? Non era sacra la vita? E' sacra solo prima di nascere e prima di morire? Un bell'esempio di relativismo praticato dai tromboni in tonaca. E infatti, la pena di morte è stata rimossa dall'ordinamento vaticano solo nel 2001, e nel 2004 l'allora cardinale Ratzinger scrive:

Non tutte le questioni morali hanno lo stesso peso morale dell’aborto e dell’eutanasia. Per esempio, se un cattolico fosse in disaccordo col Santo Padre sull’applicazione della pena capitale o sulla decisione di fare una guerra, egli non sarebbe da considerarsi per questa ragione indegno di presentarsi a ricevere la Santa Comunione. Mentre la Chiesa esorta le autorità civili a perseguire la pace, non la guerra, e ad esercitare discrezione e misericordia nell’applicare una pena a criminali, può tuttavia essere consentito prendere le armi per respingere un aggressore, o fare ricorso alla pena capitale. Ci può essere una legittima diversità di opinione anche tra i cattolici sul fare la guerra e sull’applicare la pena di morte, non però in alcun modo riguardo all’aborto e all’eutanasia.
  
Ecco quindi che solo nei nostri princìpi laici possiamo (e dobbiamo!) trovare i pilastri per la nostra ferma opposizione alla barbarie.