domenica 29 gennaio 2012

Poi dice che uno invoca Baffone


Non è che uno, ripensando con pena all’era del Nanostatista di Arcore, possa andare in avanti in eterno a dire “sì, ma se pensiamo a quello che c’era prima, Monti va benissimo”.
Tutti noi normo-pensanti l’abbiamo detto e l’abbiamo accettato come cura, ma poi uno si aspetta che, oltre a riguadagnare la stima in Europa (ma non era difficile, bastava rimuovere la vergogna), un governo che voglia davvero svoltare cerchi di riguadagnare la stima del popolo. Ma non sta avvenendo.
Archiviati (sicuro?) i diciott’anni di immondizia governativa, io vedo che:

non ci si appresta a revocare nessuna delle leggi ad schifezzam. La ministra della giustizia ha appena affermato che “la prescrizione non è una priorità”. E’ invece una priorità svuotare le carceri, ma soprattutto evitare che si riempiano di corruttori e corrotti. I morti di fame continueranno a entrarci.

I poteri forti stanno molto bene. A che serve liberalizzare l’apertura dei negozi se non a favorire le grandi catene che possono permettersi di restare aperte 24 ore su 24 e a deprimere ancora di più il piccolo commercio?

Privilegi della casta: voi avete visto qualcosa?

Le banche stanno molto bene. Lo spread scende e la depressione del cittadino sale. Ci vorrebbe un indicatore di quest’ultima che sia oggetto della stessa attenzione della stampa per il differenziale Bund-BTP.

Nessuna svolta all’orizzonte sulla Torino-Lione. Un’opera che è stata ampiamente dimostrata inutile e dannosa resta prioritaria come prima. Assistiamo da una parte a una protesta civile, dall’altra all’uso spregiudicato del manganello.

La voce dei partiti si è spenta, ma non quella della Lega. Nessuna reazione del governo alle bossate, alle calderolate e alle maronerie, consentite oltre ogni misura. Ecco un ambito dove sarebbe necessario il manganello.     

Alle proteste dei ricchi (evasori, farmacisti, imbroglioni di ogni risma) non fa eco la protesta unitaria degli operai: è frammentaria, orientata al caso particolare, perché non rappresentata da nessuno. Un sindacato, la Fiom, è di fatto fuori legge, benché la Costituzione affermi il contrario.

Sempre più campo libero al disinvolto Marchionne: l’altro giorno il Wall Street Journal si è chiesto “una Maserati resta una Maserati anche se prodotta a Detroit?”. Il pericoloso giornale comunista ha dato voce ai dubbi che sarebbero dovuti nascere a Roma, non a New York.

Non c’è stata una parola chiara da parte del governo sul sacrosanto rispetto dei referendum: l’acqua pubblica è ancora in pericolo e, vedrete, anche il nucleare. Veronesi è in naftalina, pronto alla riesumazione.  

Legge elettorale, non se ne parla. O meglio, se ne parla a sproposito. Vuoto normativo se si fosse fatto il referendum? 115 costituzionalisti hanno detto e sottoscritto che non è vero.   

Che fine ha fatto la famosa proposta di legge popolare sul parlamento pulito sostenuta da Grillo? 350.000 firme del 2007 aspettano di essere onorate. Ma anche qui tutto tace. Monti, Napolitano, la dite una parolina?

Sicuramente ho dimenticato tante cose, ma forse tutte si possono riassumere in una sola: il popolo esiste, sta sempre peggio, e merita un rispetto dimenticato.
Monti ha un solo modo per dimostrare che sta sulla stessa barca del popolo: che torni a bordo, cazzo!

sabato 21 gennaio 2012

Ma che ce ne facciamo della relatività?

 
Il tempo non trascorre con un ritmo fisso e immutabile, anche se la nostra limitata esperienza umana ci dice il contrario. La velocità del tempo dipende dalla velocità nello spazio di chi misura il tempo. Più andiamo veloci, più il tempo rallenta, fino a divenire praticamente fermo al raggiungimento della velocità della luce. Perché? Perché man mano che ci avviciniamo a questa, una parte sempre maggiore del tempo si trasforma in spazio. E’ la relatività.

Non ne abbiamo nessuna esperienza perché, benché l’effetto di rallentamento esista anche andando in auto a 50 all’ora, è talmente insignificante che nessun orologio è capace di registrarlo.
Questo simpaticissimo filmato ci regala la relatività spiegata da Piero Angela con i disegni di Bruno Bozzetto:   
 

Dunque ora abbiamo (quasi) capito, ma ci risulta ancora difficile immaginare una roba così. Figuriamoci a chi l’ha pensata per la prima volta.

Adesso spostiamoci a Berna nei primi anni del ‘900: un giovanotto, vestito in maniera alquanto trasandata, con i capelli lunghi e ondulati, sale sul tram. Si siede, il tram riparte e lui guarda fuori. Guarda un campanile, il suo sguardo si sofferma sull’orologio; il campanile con l’orologio gli scorre davanti; all’improvviso il giovanotto dischiude le labbra, la mandibola gli cade sempre di più e il suo sguardo si perde. Scatta a guardare dall’altro lato, torna al campanile che sta ormai scomparendo all’orizzonte, s’immagina a cavallo di un fotone che scappa dal campanile, immagina l’orologio ormai fermo perché lui ha raggiunto la velocità della luce. Albert Einstein ha intuito la relatività.          
                  
Così si racconta, non sappiamo se sia la verità, ma una considerazione sorge spontanea: ma come diavolo gli è venuto in mente? Almeno Newton aveva visto una mela cadere, Einstein non ha visto nulla, ha solo immaginato.
La risposta la facciamo dare a lui, intervistato negli anni ’40:

“Certe volte mi domando perché sia stato proprio io a elaborare la teoria della relatività. La ragione, a parer mio, è che normalmente un adulto non si ferma mai a riflettere sui problemi dello spazio e del tempo. Queste sono cose a cui si pensa da bambini. Io invece cominciai a riflettere sullo spazio e sul tempo solo dopo essere diventato adulto. Con la sola differenza che studiai il problema più a fondo di quanto possa fare un bambino”

Fatto sta che l’enunciato della teoria della relatività, del 1905, è puramente teorico, non è suffragato da nessuna verifica sperimentale perché nessuna era possibile all’epoca.
Oggi è veramente sorprendente quanto di tutto quello che aveva postulato Einstein sia oggetto di continue verifiche e quanto i risultati corrispondano esattamente a ciò che lui aveva previsto.

E a noi comuni mortali che tiriamo avanti i nostri giorni tra una banalità e l’altra, la relatività che ci ha portato? Che ce ne frega?
Facciamo finta che Einstein non sia mai esistito e vediamo se cambia qualcosa.
Mettiamo che dobbiamo andare a Usmate Carate a casa di amici, e dove sarà mai ‘sto posto? Saliamo in macchina, dotati di carte stradali di ogni genere, accidenti se inventassero qualche diavoleria che ci guidasse a destinazione…

Ecco che cosa non potrebbe mai funzionare senza la relatività: il navigatore satellitare. Il nostro GPS misura continuamente la distanza da tre satelliti, facendo una “triangolazione” tra i tre risultati. A causa della velocità dei satelliti però, il tempo misurato su di essi è più lento del nostro di 7 milionesimi di secondo ogni 24 ore. Il che si tradurrebbe, alla triangolazione, in un errore di alcuni chilometri. Se non ci fosse nel software dei satelliti una correzione di questa differenza, prevista esattamente da Einstein, a Usmate Carate non ci arriveremmo mai.   
  
Adesso però sto pensando a quella frase di Albert: “queste sono cose a cui si pensa da bambini”. Meglio che io vada a letto se no la mamma mi sgrida, ma non prima di avervi raccontato questa chicca (autentica):
   
il giorno dopo che Einstein si trasferisce negli Stati Uniti, nel 1933, arriva una telefonata all’Università di Princeton, dove era andato a insegnare:
“Pronto, vorrei andare a trovare il professor Einstein, può dirmi per favore dove abita?”
“No, mi dispiace, non possiamo fornire quest’informazione”
“Senta, non lo dica a nessuno, sono io il professor Einstein. Sto andando a casa, ma ho dimenticato dove abito”.  

venerdì 13 gennaio 2012

Cercare i Marziani è facile, ma trovarli...

Il famoso "Wow! Signal"

Come si cercano gli extraterrestri? E’ semplice, basta ascoltare le loro trasmissioni radio, le loro partite di calcio, i loro talk show, la pubblicità…
C’è del vero, ragazzi. Partendo dal presupposto che una civiltà intelligente faccia uso di segnali radio, basta mettersi in ascolto e prima o poi qualcosa la capteremo, visto che un segnale radio si propaga in linea retta per sempre. E’ il succo del progetto SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence) nato nel 1974 e tutt’ora in corso.

Da quando poi esistono gli strumenti di informatica individuale, ci sono nel mondo tantissime persone che partecipano al progetto fornendo gratuitamente la loro capacità di calcolo, quella che i nostri PC possono fornire in rete quando non sono impegnati a fare altro. Uno dei 2.300.000 pazzi volontari  partecipanti al progetto sono io.

Si tratta di analizzare i dati provenienti da un radiotelescopio cercando l’ago nel pagliaio, un ago piccolissimo in un pagliaio cosmico. Impresa titanica e pressoché disperata.
Il programma che gira sul mio PC scarica i dati dal sito del progetto Seti@home, li analizza cercando delle “triplette”, cioè dei segnali radio che si ripetano uguali almeno tre volte in una unità di tempo ragionevolmente piccola, e ritrasmette i risultati al server centrale.
Questa attività di analisi distribuita dei segnali radio, che usa appunto i PC dei volontari, è iniziata nel 1999 e continua ininterrottamente. Qui sotto vedete il mio “certificato” che testimonia da quanto tempo sono attivo e quante unità di calcolo ho elaborato. Nella classifica mondiale sono intorno alla 20.000ma posizione su due milioni virgola tre.   

 
Che cosa abbiamo trovato? Nulla. Nel 1977 c’è stato un falso allarme che ha tenuto i ricercatori col fiato sospeso per molto tempo: un radioastronomo ha captato un segnale inequivocabilmente intelligente che poi, dopo molto tempo, si è rivelato un’interferenza terrestre. E’ il famoso “Wow Signal” che vedete fotografato in alto. Il nome deriva dall’espressione annotata sul foglio della stampante dal radioastronomo quando ha visto il segnale e per poco non sveniva. Ma, come detto, un buco nell’acqua, sebbene qualche ricercatore nutra ancora dei dubbi sulla sua origine terrestre.     

Che speranze abbiamo di trovare qualcosa? Quasi nessuna, almeno non in un tempo ragionevole calibrato sulla durata delle nostre vite.
Adesso guardatevi questo video; prendetevi sei minuti e mezzo di tempo, ingrandite bene l’immagine, mettetela in HD, rilassatevi e godetevi lo spettacolo, non ve ne pentirete. Cliccate qui.


Avete visto che ridicola estensione hanno raggiunto segnali radio partiti dalla Terra da più o meno 100 anni? Capite perché un dialogo con un’intelligenza aliena non sarà mai possibile?
Mettiamo che captiamo un segnale da una distanza di 100 anni luce, per dire una distanza vicinissima in scala astronomica, lo comprendiamo (e già qui è dura), e rispondiamo. Altri cento anni per far arrivare il messaggio e altri 100 ancora per un’eventuale risposta. Pensate se uno dicesse “scusa, non ho capito, puoi ripetere?”  

Ma allora perché? Perché è bello e impossibile; una posta in gioco così alta non ce l’ha mai avuta nessuna attività di ricerca. Se poi invece secondo voi è inutile, è meglio che vi dedichiate a incrementare il PIL. Lasciate le seghe mentali a noi matti.    


domenica 8 gennaio 2012

Il tempo del pubblico dominio


Non mi stancherò mai di dire che Internet è una fonte di conoscenza straordinaria, uno strumento unico nella storia dello sviluppo dell’uomo. Non solo non sarebbe possibile mantenere un blog come questo senza Internet, ma neanche andare a cercare tutte quelle fonti preziose d’informazione che ne costituiscono il complemento.

Molte delle ricerche che faccio sono basate su testi diventati di pubblico dominio e liberamente consultabili grazie a iniziative come Google Books (qui) e Liber Liber (qui), e ogni volta non posso non stupirmi della quantità di materiale di cui disponiamo senza muoverci da casa.

Il 1° gennaio di ogni anno si celebra il “giorno del pubblico dominio”, il giorno in cui cadono le protezioni del diritto d’autore su migliaia di opere, normalmente dopo 70 anni dalla loro prima pubblicazione, che vanno ad arricchire questa colossale biblioteca pubblica.
Ogni anno quindi, una nuova iniezione di testi di cui si può fare ciò che si vuole, copiare, distribuire, utilizzare per comporre una canzone, tutto.

Ho capito la potenzialità immensa del pubblico dominio quando un anno fa ho scritto quel post su Commodo, il famigerato imperatore (qui). Ho potuto consultare online l’edizione integrale della “Storia degli imperatori romani” di Crevier, datata 1751. Entusiasmante, se penso a cosa avrebbe voluto dire farlo in biblioteca.
Il fatto poi che sia possibile scaricare i libri su dispositivi portatili e leggerli a piacimento, mi ha aperto una biblioteca che è sempre con me.
Piccolo problema: ho talmente tanto da leggere che non mi basta il tempo di una vita.

Poi c’è Sua Maestà Wikipedia, secondo me uno dei più visionari progetti dell’umanità. Recentemente su Il Tempo è apparso un articolo che ne dice tutto il male possibile e ne auspica la fine, lo trovate qui. Ottusità galoppante.


Certo, una ricerca su Wikipedia richiede sempre una verifica su altre fonti, se dovete basare una vostra pubblicazione su quei dati; la mia esperienza però è più che positiva: pochissime volte sono incappato in errori sostanziali.
D’altronde le grandi e blasonate opere su carta come la Treccani non sono esenti da errori anche madornali, e in questo caso nessuno potrà intervenire all’istante per correggerli.
Vi faccio un esempio illuminante: molti anni fa ho comprato la prima edizione del Vocabolario della lingua Italiana di Treccani. Con mio grande stupore mi accorsi all’epoca che alla lettera A mancava il verbo “afferire”. Scrissi subito alla redazione per segnalare l’errore, e questi cosa hanno fatto? Innanzitutto non mi hanno risposto per ringraziare della segnalazione, e poi hanno infilato “afferire” nell’appendice, come neologismo! 

 
Ne potrei citare altri, di errori dei dizionari cartacei (per esempio il Garzanti, ma almeno mi hanno risposto e ringraziato), ma il punto è che su Wikipedia questo non è possibile: gli errori vengono corretti più prima che poi e soprattutto gli errori non vengono coperti e giustificati violentando il sapere.

“Open”, questa è la parolina magica. Il sapere aperto, il software aperto, l’arte aperta. Disponibile liberamente a tutti noi, che possiamo così aggiungere qualche mattoncino alle costruzioni della conoscenza; quelle dei sapienti che ci hanno preceduto.