venerdì 22 aprile 2011

Il ritocco della morte - così scompare la donna


L’oscena trasformazione del volto che sembra un punto d’arrivo per alcune signore e giovani ragazze mi angoscia molto. Quelle labbra deformi, standardizzate nella loro incomprensibile bruttezza, tristissime nella loro dichiarata non funzionalità verbale, uccidono la donna e l’umanità con lei.
“Fa’ di me ciò che vuoi”, sembra dire quella bocca, “ma non ti aspettare che io abbia qualcosa da dire”. Bambole gonfiabili.

 
Io temo che sia anche un tragico status symbol: non è sufficiente rifarsi il seno, si potrebbe ancora pensare che sia naturale; è necessario un segno inequivocabile di avvenuto intervento. Ecco allora quelle bocche che vorrebbero trasmettere un messaggio di classe: io posso e tu no. E perché non ci siano dubbi sull’appartenenza alla classe, debbono essere tutte uguali. Ah, che mostri!

Tutto è cominciato con la disperata ricerca della giovinezza e le grandi potenzialità della chirurgia plastica, ma le tardone rifatte hanno una loro logica, si possono capire anche se non condividere:

  

Invece le giovani trasformate in rospi dalla chirurgia prêt-à-porter non si possono capire, è patologia sociale. Come fanno a guardarsi allo specchio? Per accettarsi hanno bisogno di “affiliarsi” al club delle rifatte, si cercano tra di loro e si compiacciono del loro simbolo di potere.

Particolarmente triste il caso di Noemi, la povera ragazza entrata sciaguratamente in contatto con l’organismo mefitico che tutto distrugge, con la complicità di una madre imbecille e degenere. Ho trovato sconvolgente la sua immagine dopo il ritocco della morte, non l’avrei riconosciuta senza didascalia:


Quali valori può più avere questo fossile prematuro, quali virtù potranno mai albergare in questa persona mancata a cui hanno insegnato che essere velina o parlamentare è la stessa cosa?    

Io ho sempre trovato rassicurante il volto delle donne, quando le vedo mi pare che nulla di male possa succedere. Se non le vedo più, se vedo solo rospi, mi pare di dover scappare da qualche parte.
E dopo la galleria dei mostri, un’immagine di speranza; una di quelle che mi rassicurano. Se vi va, cliccateci su.


sabato 16 aprile 2011

E se le abbandonassimo per sempre?


Quasi tre anni fa ho dovuto rinunciare all’auto nei giorni di lavoro, per motivi logistici che non dipendevano da me. All’inizio ho digerito male la faccenda, ma poi lentamente ho fatto una scoperta che oggi non mi farebbe tornare indietro neanche se potessi.
Ho scoperto che ho guadagnato un’ora al giorno di tempo da dedicare a me stesso.
Adesso cammino un po’, il che non guasta, ma soprattutto nel tragitto in autobus faccio quello che mi pare, tutto tranne preoccuparmi della guida. Leggo soprattutto, ma anche dormo, chiacchiero, ascolto musica, penso e sono rilassato. Una roba, direi, imperdibile. Guardo dal finestrino del bus gli automobilisti nelle loro scatolette come un uomo libero guarda un prigioniero. A volte capita che mi dispiace di essere arrivato perché devo interrompere la lettura!
Ah, penso, se tutti potessero fare l’esperienza che ho fatto io e capire!
E’ vero, vivo in un paese dove i trasporti pubblici funzionano bene e difficilmente resti in piedi nel bus, quasi mai. Ma, pensa il mio cervellino sovversivo, se il traffico privato non esistesse i trasporti pubblici funzionerebbero bene dovunque.

Così sto immaginando un mondo dove le automobili private non esistono, dove questa che è una delle più perniciose invenzioni dell’umanità possa essere al massimo un taxi se proprio lo vuoi. In questo mondo fantastico il trasporto pubblico è di altissimo livello, capillare e completamente gratuito, perché gli illuminati amministratori hanno scoperto che si risparmia una montagna di soldi abbattendo l’inquinamento cittadino, diminuendo il dispendio di energia, facendo meno manutenzione alle strade, aumentando il benessere fisico della popolazione e quasi azzerando gli incidenti stradali. Ma proprio tanti tanti soldi, al punto che perfino le ferrovie non si pagano più.          

In questo mondo immaginario la gente ha scoperto che è diventata molto più cortese e disponibile, non s’incazza più perché non incontra più gente incazzata.
Gli addetti alle catene di montaggio che costruivano automobili ora sono più contenti, perché costruiscono autobus, vagoni, tram e locomotive. Non costruiscono più oggetti del desiderio ma servizi per la popolazione. Adesso la gente non prova più invidia per una scatola di lusso con i sedili in pelle. Adesso la gente, spogliata dell’armatura con le ruote, ti sorride spesso.  

In questo mondo immaginario i grandi centri commerciali non ci sono più, c'è stato un gran fiorire di botteghe e mercatini rionali come un tempo. Fare la spesa sotto casa è ora una bella esperienza di piccola socialità; ci conosciamo tutti, ci parliamo, ci aiutiamo. La piccola imprenditoria di tanti ha soppiantato la grande imprenditoria di pochi.  

In questo mondo immaginario, all’inizio, le autorità hanno consentito l’uso dell’automobile privata nei giorni festivi; ma a poco a poco la gente, che ha scoperto un mondo nuovo, vi ha rinunciato spontaneamente. E' stato costruito un grande monumento in piazza, fatto di carcasse di auto, dedicato a tutte le vittime della passata follia collettiva.

Il mondo, che è messo davvero male, ha bisogno di visionari, gente che metta in campo le utopie. Nel mio piccolo, io immagino.

sabato 2 aprile 2011

Anthropa Cup: il campionato più bello del mondo


Ricevo da un testimone d’eccezione (ne parliamo dopo) la cronaca dell’indimenticabile incontro di ritorno dell’Anthropa Cup, sfida finale tra Dinamo Universal e Man-Centered United F.C.:

L’incontro di andata, giocato molti secoli fa nello stadio “Mediterraneo”, si era concluso con un sonoro 2-0 a favore del Man-Centered, con gol di Aristotele e Tolomeo (i pensatori che mettevano l’Uomo e la Terra al centro del Sistema solare e quindi dell’universo; insomma i padri dell’antropocentrismo, che assegna una posizione speciale nell’universo all’uomo e al suo pianeta).
La gara di ritorno si gioca, naturalmente, nello stadio “Universal”. Ed ecco la radiocronaca.
Pubblico foltissimo: a favore della Dinamo Universal sono presenti, ma silenziose, cento miliardi di stelle e cento miliardi di galassie, che forniscono anche l’illuminazione per la gara notturna.
Per il Man-Centered c’è la rumorosa curva sud, popolata da milioni di milioni di neuroni (per quanto possa sembrare incredibile, ogni tifoso ne ha cento miliardi) e da un gruppetto di ultrà vestiti nel rosso cardinalizio della maglia del Man-Centered.
Fischio d’inizio nei primi anni del Cinquecento. La tattica sul terreno del Man-Centered è subito evidente. Aristotele e Platone, al centro, forti del vantaggio iniziale fanno melina, tengono palla e fanno girare il Sole e tutti pianeti intorno alla Terra. Ma ecco che improvvisamente entra in azione il terzino polacco della Dinamo Uni, un certo Kopernik, finora sconosciuto immigrato semi-clandestino in Italia, ma fresco di laurea a Ferrara. Kopernik prende palla e fa partire un lungo lancio in profondità a tagliare la difesa avversaria, con un libro rivoluzionario (non per nulla si intitola De Revolutionibus Orbium Coelestium…) che nel 1543 per la prima volta mette il Sole al centro e gli fa girare intorno la Terra.
Il suggerimento di Kopernik è raccolto da un’ala tornante (nel senso che poi si pente), il mitico Galileo Galilei, che gioca con un piccolo telescopio cucito sulla maglia blu notte della Dinamo Uni. Galileo ha preso il ruolo di Giordano Bruno, espulso in modo definitivo con bruciante ingiustizia dall’arbitro (il quale fa fatica a correre, deve tenere sollevato il pesante saio che gli copre i calzoncini…).
Galileo stringe al centro, impugna il cannocchiale e concretizza il brillante lancio di Kopernik osservando satelliti intorno a Giove e il susseguirsi di fasi di Venere. Dunque la Terra non è al centro del Sistema solare, sono i pianeti che girano intorno al Sole. Non è più una mera teoria matematica astratta, che la Chiesa si degna neppure di mettere all’indice (lo farà soltanto nel 1616, dopo l’affondo di Galileo): adesso è una osservazione astronomica sicura, inconfutabile.
Nonostante la curva sud agiti minacciosa lo striscione “Bellarmino pensaci tu”, Galileo segna così il primo, bellissimo gol della riscossa della Dinamo Uni.  
Nella mischia sotto porta, però, proprio Galileo incorre in una pesante ammonizione dello stesso arbitro, viene costretto a rimangiarsi il pallone del gol e anche a dire che era buono.
Palla al centro e il gioco riprende, ma Galileo non sarà più lo stesso. Nel “Processo del lunedì”, celebrato forse un po’ in ritardo nel 1984, il Papa alla moviola ammetterà che Galileo non era da ammonizione, anzi non aveva proprio commesso fallo.
Nel finale del tempo - siamo nel 1859 - entra in campo per la Dinamo Uni un possente centravanti inglese, tale Charles Darwin, che nonostante l’età avanzata si porta con autorevolezza nella metà campo del Man-Centered. Con azione solitaria entra in area travestito da scimmia, poi getta la maschera e, brandendo il verme da cui tutti discendiamo, insacca!
Non solo l’uomo non è più al centro fisico dell’universo, ma adesso sappiamo di essere soltanto un caso particolare di scimmia. L’arbitro vorrebbe annullare il gol, ma non trova nel regolamento un esplicito divieto a segnare con un verme in mano.
Due a zero per la Dinamo, fine del primo tempo. La squadra del Man-C rientra negli spogliatoi a testa bassa, rincorsa da massaggiatori in rosso cardinale che offrono turiboli di incenso da sniffare per tirarsi su.

 Giovanni Bignami, radiocronista della finale dell'Anthropa Cup

Il secondo tempo, decisivo, si apre intorno alla metà del Novecento. La nuova fisica nucleare e teorica è un vivaio di talenti e fornisce alla Dinamo Uni un altro giocatore inglese di classe, Sir Fred Hoyle, per la verità occhialuto e un po’ sovrappeso. Con la sua “teoria della nucleosintesi”, lavorando a centrocampo, prepara il terreno per un’altra azione offensiva. Hoyle non ama il Big Bang ma sa come funzionano le stelle e ha capito perché stanno accese. Entra nell’area avversaria con la tavola di Mendeleev dipinta sulla maglia blu notte (l’arbitro non sa che cosa sia, perciò lascia correre…) e, indicandola, fa capire di aver scoperto che gli elementi chimici sono tutti costruiti dalle stelle. Dagli spalti le stelle gridano agli uomini: “Polvere, siete solo nostra polvere!”. Hoyle, trascinato dall’incitamento, segna!
Un gol importante per la Dinamo Uni: la materia che forma l’uomo (e la Terra, e tutto) viene dall’universo, non ha proprio niente di speciale. Le stelle fanno la ola, organizzandosi in improvvisate spirali. Tre a zero: si mette male per gli uomocentristi.
Ultime confuse fasi di gara, dal 1990 ad oggi. Ora è il vivaio dell’astrofisica a fornire talenti, così tanti che non si possono citare. La Dinamo Universal attacca in contemporanea su due fronti: la composizione della materia dell’universo e la presenza di pianeti intorno alle altre stelle.
I nuovi entrati dal vivaio astronomia scoprono ben presto che la materia di cui siamo fatti noi (e tutto quello che vediamo) è soltanto un pizzico di sale nella minestra della materia universale. La maggior parte dell’universo, per la precisione il 96%, è fatta di materia o energia che chiamiamo “oscure” tanto per dar loro un nome, ma che non hanno niente a che fare con la materia ordinaria. Insomma, noi apparteniamo a un trascurabile 4% dell’universo. Ecco un altro bel gol contro i Man-Centered: neanche la nostra materia è centrale nell’universo. 4-0.
L’altro attacco viene da un’azione condotta in tandem dai due attuali centravanti della Dinamo: Astronomo Da Terra e Astronomo Spaziale.
Un sacco di gente ha sempre creduto che esistessero pianeti intorno alle altre stelle: da Giordano Bruno, quello della bruciante espulsione, a Giacomo Leopardi e molti altri. Ma nessuno li aveva mai visti. Nel 1995 invece è stato osservato il primo pianeta extrasolare; oggi siamo vicini a 500 [539 al 28 marzo 2011, ndr] e tra pochi anni ne conosceremo migliaia.
I pianeti insomma sono la norma, non l‘eccezione intorno alle stelle. Il nostro Sistema solare non è che uno come tantissimi, non ha niente di speciale: quinto gol per la squadra dei blunottati della Dinamo Universal, e fischio finale dell’arbitro.

Un sonoro 5-0, insomma, che annulla e surclassa il 2-0 della gara di andata e decide così la coppa Anthropa, che viene consegnata in pompa magna alla squadra della Dinamo.
L’allenatore Universinho subito provvede a far entrare in campo un gigantesco schiacciasassi, che, in modo teatrale, schiaccia la coppa stessa e la distrugge. Addio antropocentrismo.
Urla di gioia di stelle, pianeti, galassie (e sembra anche di sentire aleggiare, gigantesca, un’altra presenza oscura, sconosciuta, indefinibile…). Qualche irriverente coro di “Giordano Bruno santo subito” viene tiepidamente zittito.
L’arbitro, colpevole della bruciante espulsione di Bruno e della pesante ammonizione a Galileo, per non parlare del goffo tentativo di annullare il gol di Darwin, corre verso gli spogliatoi e si infila nel tunnel sotterraneo che passa direttamente sotto il Tevere.       

Lo straordinario radiocronista dell’incontro è Giovanni Bignami, notissimo e pluri-titolato astrofisico nonché meraviglioso divulgatore, che mi ha molto carinamente autorizzato a pubblicare questo bellissimo stralcio del suo ultimo libro: “I marziani siamo noi”.
Impossibile esaurire in poche parole la figura scientifica di Bignami, vi invito per questo a visitare il suo sito: qui.
Mi preme invece parlare della sua stupefacente capacità divulgativa, che non è solo “know how” ma è supportata da una potente ed autentica passione per la trasmissione della conoscenza, il che mi fa sentire, asino quale sono, sulla sua stessa lunghezza d’onda.

Ne “I marziani siamo noi”, uno di quei libri che se sei costretto a interrompere ti arrabbi, Bignami traccia “un filo rosso dal Big Bang alla vita” facendo il punto sulle attuali conoscenze scientifiche ma soprattutto rappresentandoci le enormi sorprese che ci serba il futuro prossimo della ricerca. Ora sappiamo tante cose e ci resta da scoprire solo “quasi tutto”.              
Un approccio semplice, chiarissimo per chiunque, alla meraviglia dell’universo e della vita, dovunque essa si trovi e da dovunque essa sia arrivata.  
Uno straordinario racconto della scienza: successi, fallimenti, pazienza, umiltà. Lo sapevate che i pianeti non possono formarsi ed esistere? Un avvincente mistero in cerca di una soluzione. Ma non vi voglio anticipare nulla.