lunedì 26 dicembre 2011

I capodanni che non ci siamo detti


Come spostandoci di qualche fuso (e di qualche cultura) cambia tutto

Essere disponibili a punti di vista diversi dal nostro, spesso sigillato da meccanismi mentali arrugginiti e talvolta immodificabili, apre una prospettiva infinita di espansione culturale.
E’ così anche con le nostre “feste comandate”, di cui il Capodanno è uno dei pilastri.

Così, affacciandoci dalla confortevole finestra delle nostre tradizioni per scoprirne altre, scopriamo che può accadere in alcune parti del mondo che di capodanni ce ne siano due per ognuno dei nostri anni. E’ accaduto nel 2008, quando il capodanno islamico è caduto la prima volta il 10 gennaio e la seconda il 28 dicembre. Questo perché l’anno islamico è basato sui cicli lunari e non su quelli solari, risultando l’anno leggermente più corto di quello gregoriano. In questo modo l’anno è più corto di circa 11 giorni, un mese ogni tre anni, dando luogo di tanto in tanto al fenomeno del doppio capodanno. Il primo mese dell’anno è muharram, che contiene la radice haram, proibito. La stessa radice, guarda caso, è presente nella parola harem. Non sempre il 1° muharram è una festa: lo è con un carattere particolarmente gioioso in nord Africa ma, dato che si commemora la morte del nipote del Profeta (ucciso nella battaglia di Kerbela del 10 muharram dell’anno islamico 61), presso gli sciiti è osservato il digiuno obbligatorio per dieci giorni, facoltativo per i sunniti.         
Guardando poco lontano (ma al di là di un solco culturale profondo anni luce), vedremmo che il capodanno ebraico cade sul nostro calendario con un ciclo estremamente complicato, basato sul cosiddetto ciclo metonico (dal nome dell’astronomo greco Metone), cioè sia sul ciclo lunare che su quello solare. In base a questo calcolo, gli anni sono di 12 o 13 mesi e i mesi di 29 o 30 giorni; quest’alternanza consente l’allineamento, ogni 19 anni, con il calendario solare. E pensare che tutto questo complesso meccanismo è stato inventato nel 5° secolo a.C.!
Il capodanno religioso vero e proprio (ce ne sono altri due, quello agricolo e quello sincronizzato con lo Yom Kippur) cade il giorno 1 del mese di Nissan, anche detto mese del Pesach (che ricorre il 14), la Pasqua ebraica con cui si celebra l’Esodo. Non vi sfuggirà l’assonanza tra Pesach e Pasqua: anche se le due feste hanno, ovviamente, un significato completamente diverso, la parola Pasqua deriva dall’originale ebraico.

Spostandoci un po’ più a est ma non troppo, in Russia c’è un capodanno “nuovo” e ufficiale il 1° gennaio e un capodanno “vecchio” e ufficioso il 13 gennaio. Tra il vecchio e il nuovo c’è di mezzo lo zar Pietro il Grande, illuminato e riformatore, che nei primi del ‘700 decretò l’adozione del calendario gregoriano attuale e l’abbandono del vecchio calendario giuliano, il quale differiva ormai dal calendario del resto d’Europa di ben 13 giorni.
Ma le tradizioni russe, per fortuna, sono dure a morire. Ancora oggi molti festeggiano, sia pure in tono minore, anche il capodanno “vecchio” del 13 gennaio, con una cena del tutto speciale. E’ una festa minore, tradizionale e più intima.

Infine spingiamoci di molto verso levante per trovare il calendario lunare cinese, molto simile, per la composizione dei mesi e degli anni, a quello ebraico. Quindi ancora una volta un complicato meccanismo di successione di anni di 12 e 13 mesi che fa sì che il capodanno (Hsin Nien) cada in coincidenza della prima luna nuova dopo l'entrata del Sole nel segno dell'Acquario, sempre tra il 21 gennaio ed il 19 febbraio.
Il capodanno cinese è la festa della Primavera, una delle più sentite in Cina come in molti altri paesi dell’estremo Oriente. I festeggiamenti durano due settimane durante le quali si alternano momenti di festa e di preghiera, momenti in famiglia ed altri per le strade addobbate a festa.

Non mi resta che concludere con un grande augurio per il nuovo anno: che si possa tutti viverlo con mente aperta e accogliente come mai prima.

sabato 17 dicembre 2011

Quel pazzesco istante zero


Quest’estate vi parlavo qui di quel fatterello noto come ”Big Bang”, il grande botto che avrebbe dato inizio a tutto. E si diceva come non abbia senso parlare di un “prima”, dato che sarebbe stato quel botto a far partire il tempo.
In quest’ipotesi il “prima” è un concetto inesistente, quindi non avrebbe neanche senso immaginare un cronometro in mano a qualcuno che abbia schiacciato il bottone. Nessuno lo ha schiacciato perché avrebbe dovuto farlo “prima” e soprattutto avrebbe dovuto decidere “prima” di farlo. Quindi, l’eventuale atto creatore non ci sarebbe mai stato.  

Tutti contenti? Manco per idea. Io no di certo, semplicemente perché non riesco minimamente (e credo neanche voi) a immaginare l’assenza di tempo e spazio; e neanche i ricercatori, perché quel pazzesco “istante zero” fa a pugni con tutte le leggi fisiche. Bazzecole come gravitazione universale e relatività non funzionano più. Se pensiamo alle ipotetiche condizioni fisiche del solo istante zero, Einstein ha sbagliato tutto.
Eppure, le osservazioni e le misurazioni sempre più ricercate (e di cui Einstein non disponeva) lungo tutto il percorso di quei 13,7 miliardi di anni che ci separano da quel momento, danno continue e impressionanti conferme di quel che l’amico Albert aveva previsto. Fino a quel benedetto istante in cui tutto diventa impossibile.
Il punto è che, seguendo le ordinarie leggi fisiche, nel momento della cosiddetta “singolarità”, quando cioè l’universo è un punto senza ancora volume né dimensione, l’energia, la temperatura e la massa sono infinite. Anche un bambino sa che provare a fare un rapporto tra una massa infinita e un volume zero porta a un unico risultato:


Si possono trarre due conclusioni diametralmente opposte da quest’impasse scientifica, la prima rappresentata da un’affermazione del fisico Frank Tipler:

Abbiamo sottoposto l’esistenza di Dio alla verifica sperimentale. L’unica conclusione possibile è che Dio esiste.

Per la seconda mi permetto di scomodare Hegel:

Se i fatti non concordano con la teoria, tanto peggio per i fatti.

Se accettiamo l'affermazione di Tipler, scegliamo di fermarci alla prima spiaggia e il discorso finisce qui. Se prendiamo in considerazione la seconda, andiamo avanti. E io vado avanti, perché se per ogni mistero mi dessi una spiegazione divina mi parrebbe d’insultare la storia della conoscenza. A che serve la “scuola di Atene”? Se non vado avanti tanto vale buttarla giù.  

Dunque mettiamo in dubbio i fatti.
Prendiamo in considerazione la possibilità che questo famoso istante zero non sia mai esistito, il che ci farebbe ritrovare l’armonia con Newton e Einstein ma fa sorgere un altro piccolo problemino: ma… se non è mai nato, l’Universo è sempre esistito?   
Su questa domanda sta lavorando il giovane e brillante fisico tedesco Martin Bojowald, raccogliendo l’eredità di Einstein. Quest’ultimo sapeva che la ”singolarità” faceva crollare la relatività e tentò di lavorarci per risolvere il dilemma ma il tempo non gli è bastato.
Bojowald è anche un divulgatore e ha scritto un libro che sto leggendo:


Devo dire che, benché divulgativo, il libro è tosto. Non ho capito un accidenti della teoria quantistica ed è la seconda volta che ci provo; ci vorrà la terza, poi se succede il miracolo ve la racconto. Comunque, mi è successo che avendo letto una certa pagina e avendola perfino compresa, non ho fatto che pensare a quella pagina tutto il giorno, nonché a questo post che sto scrivendo.

Bojowald è il padre della teoria del “Big Bounce” (Grande Rimbalzo) da lui enunciata nel 2007. La sua teoria dice che l’Universo si espande fino al punto di densità critica (punto Ω) in cui, un po’ come succede per una stella supernova, la gravità lo fa implodere e collassare su se stesso, per ridursi in uno stato molto vicino a quello dell’istante zero senza mai raggiungerlo. Ma a questo punto, raggiunta ancora una volta la massa-energia critica, l’Universo ri-esplode in un nuovo Big Bang. E questo sarebbe avvenuto un numero infinito di volte e avverrà ancora un numero infinito di volte. Ogni volta il nuovo Universo sarà diverso da quello precedente, essendo essenzialmente il caso a determinare la sua composizione .


Così come quando esplode una bomba è impossibile prevedere dove andranno a finire tutte le sue molecole, nel caso dell’Universo il risultato è ancora più imprevedibile. Non sappiamo come le particelle sub-atomiche che costituiscono tutta l’energia si combineranno e che tipi di atomi formeranno, si potrebbe ipotizzare qualunque cosa, anche un Universo senza idrogeno ma con qualcosa di nuovo. Anche un Universo che non potrà mai ospitare la vita, ma poi magari va meglio al successivo rimbalzo.

Sarebbe quindi una successione infinita, ciclica, di Big Bang e Big Crunch (collassi) che ci consentirebbe di affermare che l’Universo è sempre esistito e sempre esisterà, sia pure in forme e modi diversi determinati dai Big Bang che si succedono uno dopo l’altro. Da ignorante mi sembra più confortevole della pazzesca assenza di spazio e tempo.  

A questo punto abbiamo aggiunto al dubbio sul “prima”, il dubbio sul “sempre”. Mi sa che dovremo prima o poi tornare a fare una visitina dalle parti di Atene.
La scienza impone anche alla filosofia dei “Big Bounce” ciclici del pensiero, un viaggio senza fine che ci fa passare e ripassare per i luoghi del sapere.
Era meglio fermarsi alla prima spiaggia, quella bella e rassicurante di Tipler? Io dico di no.          
  
Chicca non proprio piacevole: vi sarete chiesti se è possibile prevedere il momento di massima espansione, il punto Ω. Più o meno sì, se la teoria è giusta, e il punto Ω risulta essere adesso.
Dobbiamo sperare che Bojowald abbia preso una micidiale cantonata oppure che abbia perfettamente ragione e veder trionfare la conoscenza? Ovviamente, non lo so.            

sabato 10 dicembre 2011

Socrate: facciamo parlare le Leggi


Morte di Socrate - Jean Louis David - New York MOMA
(clicca per ingrandire)

In questi tempi di leggi inique ma “extrema ratio” per salvare l’Europa, non poteva non venirmi in mente Socrate.
Nel Critone, scritto da un giovane Platone1, questi ci racconta perché Socrate si decise ad accettare la sua ingiusta condanna invece di scappare per sottrarsi alla morte.

Socrate era stato processato per due capi d’accusa del tutto pretestuosi: corruzione morale dei giovani, che avrebbe incitato alla ribellione, e il mancato rispetto della religione di Atene.
Il filosofo si difende da solo (ovvio!) attaccando il tribunale con la faccia come il deretano: a lui è dovuta non una condanna ma una rendita a vita, per aver educato la gioventù ateniese.
Accetta poi una multa, ma provoca il tribunale affermando che la accetterà solo se ridicola. Al rifiuto di andare in esilio, il tribunale lo condanna a morte.

Socrate è in prigione in attesa dell’esecuzione quando il suo allievo Critone, corrompendo una guardia, va a trovarlo cercando di convincerlo a scappare. Non solo perché la condanna è ingiusta, ma anche perché il popolo ateniese avrebbe giudicato molto male i suoi allievi se non lo avessero esortato e aiutato a fuggire.
Socrate liquida la seconda motivazione affermando che solo i saggi possono giudicare; il giudizio del popolo sulle questioni etiche non va tenuto in considerazione. Si sofferma invece a lungo sulla liceità di una fuga, apparentemente giustificata dall’ingiustizia subita.

Dialogando con Critone, il filosofo inscena una prosopopea, un artificio retorico in cui si fanno parlare entità non umane impersonificandole.
Socrate immagina che durante la sua ipotetica fuga le Leggi gli si parino davanti e gli si rivolgano più o meno così:

Socrate, che stai facendo? Fuggi? Non avevamo convenuto che tu saresti dovuto sottostare a noi senza discutere? Non ci pare di aver stabilito che tu avresti potuto giudicarci.
Hai vissuto settant’anni sotto la nostra protezione, sei nato perché noi abbiamo sancito il matrimonio dei tuoi genitori, sei stato educato e sei quello che sei perché noi abbiamo stabilito che tu dovevi essere educato.
Sei una nostra creatura, siamo le tue Leggi e la tua Patria, ti abbiamo protetto per consentirti di vivere come più ti è piaciuto. Avevi una sola scelta: ci potevi persuadere a cambiare o ubbidirci senza discutere; quello che non puoi fare è violarci.
E tu, bada bene, saresti più colpevole di altri nel disubbidirci, perché noi ti siamo sempre state gradite; hai insegnato ai giovani che non possono fare a meno di noi per vivere in pace, per costruire una società giusta.
Potevi andartene, potevi decidere di sottostare alle leggi di Sparta o di Creta se non ti fossimo piaciute, ma non lo hai fatto e non hai neanche accettato l’esilio perché le regole di Atene ti piacciono. Ogni buon cittadino ama le regole e tu sei stato un buon cittadino e un buon maestro.
Se scapperai, darai un ottimo motivo ai tuoi accusatori per credere che la condanna sia stata giusta: saresti un sovvertitore delle Leggi. E’ questo che vuoi? Ricorda: sei stato trattato ingiustamente non da noi, ma dagli uomini.

Critone non ha più parole: il maestro ha ragione. Socrate berrà la sua cicuta.
Le Leggi dicono anche un’altra cosa a Socrate, ma l’ho lasciata per ultima perché merita un commento particolare:

Se scappi ci avrai nemiche, e noi parleremo male di te alle nostre sorelle che regolano l’oltretomba. Sei sicuro che ne valga la pena?

Onde evitare che quest'ultima minaccia delle Leggi ci porti a credere che, alla fine, ciò che convince Socrate è solo la paura della punizione divina, vale la pena di fare una piccola digressione sul suo sentimento religioso.   
Il rapporto tra Socrate e gli dèi era regolato da un dáimon, una sorta di “genietto” inferiore agli dèi e superiore all’uomo, che viveva dentro di sé e gli faceva sorgere ogni sorta di dubbio etico prima di compiere un’azione. Potremmo paragonarlo all’imperativo categorico kantiano e al Super-Io freudiano. Non è quindi devozione alla tradizione religiosa la sua (e sarà questa una delle ragioni per la sua condanna) ma un’interpretazione personale e innovativa della religione, che governa l’anima dell’uomo più che i fenomeni del mondo.   
Tornando alla nostra attualità, di nefandezze e iniquità legislative e decretizie ne abbiamo viste tante e ne vedremo ancora. Mala tempora currunt, sed peiora parantur.
Dobbiamo bere la nostra cicuta? Tanto per cambiare, non lo so.

[1] Socrate non ha mai scritto una riga. Conosciamo il filosofo dai suoi allievi che ne hanno scritto in lungo e in largo. Tra questi spicca Platone che nella Apologia di Socrate e nel Critone racconta in maniera fedele il processo e l’autodifesa di Socrate, insieme alla sua rinuncia alla fuga.   

giovedì 8 dicembre 2011

Natale a parole


Anche i miscredenti come me, alle nostre latitudini,  debbono avere a che fare con il Natale cristiano. E dato che oggi è festa, un piccolo post infrasettimanale sulle parole delle feste, tanto per aggiungere un'altra dimensione al Natale, che ne ha tante ma le stiamo perdendo tutte. 
E poi l'etimologia è una mia grande passione, un tema sul quale non mi sento neanche troppo ignorante. :-)

Cominciamo dalla fine, e cioè dalla festa che tutte le feste porta via: l’Epifania. La stella cometa apparve ai Re Magi dall’alto, in greco epi (dall’alto) phanéin (apparire). In latino diventa epiphania, in antico volgare Befanìa da cui, ovviamente, la Befana. Ma non è solo la stella ad apparire, è la natura divina del Cristo a rivelarsi agli uomini; quindi festa della rivelazione.
Di rivelazioni ce n’è più d’una: tra le Epifanie bisogna annoverare infatti anche, oltre a quella tradizionale in occidente, il battesimo di Gesù nel fiume Giordano, nonché il suo primo miracolo, la trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana. Tutte e tre sono rivelazioni della natura divina del giovane Gesù.   
Per la verità, nella tradizione cristiana non è l’Epifania l’ultima festa: “Risponde la Candeloraci sono io ancora!” Nel giorno della Candelora, il 2 febbraio, si celebra la benedizione delle candele.

Nel nostro percorso a ritroso, c’imbattiamo nel Capodanno. Naturalmente non c’è bisogno di spiegare la natura della parola, però ne approfittiamo per parlare della notte di San Silvestro. Il 31 dicembre del 335 muore papa Silvestro I, proclamato santo in seguito alla miracolosa guarigione dalla lebbra dell’imperatore Costantino. Secondo la tradizione, Costantino curava la sua malattia lavando le piaghe col sangue, e per questo aveva dato inizio ad un orribile eccidio di bambini. Sivestro intervenne per porre fine alla strage, guarendo l’imperatore. La guarigione miracolosa convinse l’imperatore della potenza della fede cristiana ed a promulgare gli editti che posero fine alla persecuzione dei suoi seguaci. Il 31 dicembre si ricorda quindi il papa che permise, grazie al suo intervento, la “ufficializzazione” della religione cristiana.

Proseguendo come gamberi, arriviamo al 26 dicembre, Santo Stefano. C’è una ragione ben precisa per la quale questo santo viene ricordato subito dopo il Natale: egli è stato il primo che ha sacrificato la vita in nome della fede cristiana, quindi il primo dei protomartiri. La sua morte, decretata dal sinedrio nell’anno 36, è riportata negli Atti degli Apostoli.

Ed eccoci a Natale. Nelle nostre case non mancano oggetti e simboli propri del Natale, tra i quali mi sembra molto interessante, da un punto di vista etimologico il presepe (o presepio). Letteralmente significa “luogo circondato da una siepe, preparato per uno scopo”; come si fa a dire tutto questo in una parola sola? E’ l’attitudine alla sintesi della lingua latina: praesepium è composto dal prefisso prae- (prima) e dal verbo saepire (circondare con siepe). Quindi resta sottinteso che il luogo è recintato prima di un certo avvenimento; e l’avvenimento, naturalmente è la nascita del bambinello.

La nostra frenetica attività natalizia del regalare merita una digressione iberica: il verbo ci arriva infatti dallo castigliano regalar, arrivando nella lingua italiana intorno al 1500. E’ probabile che si possa derivare il suo etimo da “fare un omaggio da re”.                     
Per concludere, l’avvento  è il periodo che precede il Natale, dal latino advenire (arrivare). E la vigilia è la veglia che precede la festa, dal latino vigilia (tempo della veglia). E, come sanno bene i bambini, la notte di Natale è difficile dormire.

sabato 3 dicembre 2011

Le stelle maestre di vita

La Supernova 1994D in basso a sinistra nella foto.
E' più luminosa dell'intera galassia NGC4526.

Ancora a parlare di stelle, questa volta per capire se possiamo trarne una filosofia di vita. O, se preferite, se le stelle possano davvero ispirare il nostro pensiero profondo. Senza per questo scomodare Aristotele e Kant.
A volte basta un modesto sapere scientifico (ma corretto, no Giacobbo!) per accendere una luce dentro di noi, per aprire la nostra mente e prospettarci punti di vista insospettati. A me è successo quando ho capito cos’è e come funziona una “Supernova”.

Le stelle invecchiano; tutti sanno che prima o poi anche la nostra morirà. Ma molto “poi”, tra qualche miliardo di anni, quando avremo fatto in tempo a estinguerci da un pezzo, quindi non mi preoccuperei troppo.     
Una stella come il Sole muore perché esaurisce il suo combustibile, l’idrogeno. I suoi processi interni si modificheranno all’esaurirsi dell’idrogeno e il Sole comincerà a espandersi drammaticamente, fino a occupare circa il doppio dello spazio che oggi ce ne separa (ca. 150 milioni di Km) e oltre. Diventerà quella che si chiama una “gigante rossa”.
Già nella prima fase di espansione, ammesso che noi esistessimo ancora, saremmo letteralmente fritti. 

La dimensione del sole come gigante rossa
paragonata alla dimensione attuale.

L’espansione di una stella a idrogeno come il Sole non può essere infinita; arriva a un punto critico in cui la massa della stella, che si è moltiplicata di centinaia o migliaia di volte, genera una gravità talmente potente alla superficie da superare la spinta espulsiva del nucleo: a quel punto la stella collassa su se stessa, lentamente oppure molto velocemente. Nel secondo caso diventa una Supernova: tutto il combustibile residuo brucia all’istante (parliamo davvero di secondi, minuti o al massimo ore) e la stella esplode. La probabilità che il collasso sia violento dipende dalla dimensione raggiunta dalla stella: più è grande, più è probabile.

Ragazzi, mi sia consentita un’elegante espressione: è un botto della madonna. Non ci sono parole o paragoni adeguati per descriverlo, basti dire che la distanza di sicurezza da un botto così, per non subirne alcuna conseguenza, è di circa 25 anni/luce, cioè 236,5 milioni di miliardi di chilometri. 

Siamo tranquilli su questo rischio? Abbastanza. Le giganti rosse in una fase pre-esplosiva sono note (salvo che ce ne sia scappata qualcuna) e non ne risultano a distanza critica. Una delle più studiate è Betelgeuse, a una distanza di 640 anni luce da noi; si ritiene che la sua esplosione sia imminente. Nella scala temporale dell’Universo, vuol dire da qualche anno a qualche secolo, forse la vedremo.

 
 Paragone tra la dimensione attuale di Betelgeuse e il nostro Sole.
Il puntino bianco in basso a destra è il Sole.
 
Così come è stata vista nell’anno 1054 l’esplosione della Supernova che ha dato origine alla Nebulosa del Granchio. Gli astronomi cinesi e arabi raccontano che la sua luce fu visibile in cielo durante il giorno per 23 giorni consecutivi. Era una stella distante 6.500 anni luce, il che ci consente di calcolare che l’esplosione è avvenuta all’incirca nel 5.500 a.C. Ecco una bella simulazione dell’esplosione della SN1054:

 


Possiamo quindi, tranquilli e gaudenti, assistere a questo spettacolo che sembra essere stato allestito per noi, sicuri da ogni turbamento? Assolutamente no, per due ragioni.

Prima ragione (o ragione del grande turbamento):
abbiamo detto che la Supernova di una stella a idrogeno causa uno sfacelo cosmico che si propaga per diversi anni luce. Nel raggio di diversi anni luce dalla stella che esploderà ci sono molte altre stelle, sicuramente alcune con sistemi planetari. È possibile che alcuni di questi pianeti ospitino la vita. Tutto spazzato via in un istante.
Ripeto un sentire a me caro: per chi suona la campana? E’ una domanda che ci dovremo porre se e quando vedremo Betelgeuse esplodere.
     
Seconda ragione (o ragione del piccolo turbamento):
c’è un tipo di esplosione stellare, non meno frequente del primo, in confronto al quale la Supernova della stella a idrogeno è un modesto petardo. È l’esplosione delle cosiddette Nane Bianche.
Dette anche Nane Degeneri, sono stelle all’ultimo stadio, molto piccole e pochissimo luminose, più o meno della dimensione della Terra ma con una massa superiore a quella del nostro Sole; quindi estremamente dense. Non hanno più idrogeno, lo hanno consumato tutto. Se ne starebbero lì tranquille a non far nulla di male, ma a volte il diavolo ci mette la coda.
Spesso le Nane Bianche fanno parte di un sistema binario, cioè hanno una stella compagna a volte molto vicina. Non è un caso raro, sono state osservate molte di queste coppiette. La Nana, nel suo processo di degenerazione, aumenta la sua massa ma non le sue dimensioni: l’attrazione gravitazionale diventa mostruosa e comincia a succhiare materia dalla stella vicina. La massa della Nana continua a crescere, sempre più densa e attrattiva, la quantità di materiale “succhiato” aumenta. Il processo accelera e si auto-alimenta: massa che cresce, più gravità, materia succhiata in più. Purtroppo, anche qui c’è un limite: arriva il momento del collasso della stella su se stessa per eccesso di gravità. A causa della compattezza della materia della Nana l’esplosione è mostruosa. Quello che accade in un istante è ben riprodotto in questo video:    


Ho usato parole come “diavolo” e “purtroppo”, perché ho usato un limitato metro umano. Queste esplosioni sono molto salutari per l’Universo: creano il materiale da cui nasceranno altre stelle e nuovi pianeti.    

Il “diavolo” e il “purtroppo” derivano dal fatto che questa volta la distanza di sicurezza da questa esplosione è stata stimata in 3.300 anni/luce, cioè 31,2 miliardi di miliardi di chilometri. Non solo; le Nane Bianche, come abbiamo detto, sono piccole e poco luminose: benché ne siano state osservate parecchie, non sappiamo in realtà quante ce ne siano intorno a noi perché possono essere sfuggite all’osservazione. E tanto meno sappiamo quante fanno parte di un sistema binario. In altre parole, non sappiamo dove sta ticchettando un timer. 

 
Però una cosa la sappiamo, ed è per questo che è solo un “piccolo” turbamento:
è completamente inutile preoccuparsene perché non possiamo prevederlo e non ci accorgeremmo di nulla. 

Solo mi piace poter pensare che qualcuno, da qualche parte molto lontana, vedrà il nostro lampo luminoso nel cielo. Il lampo che esaurisce in un istante tutto il nostro passato, il nostro presente e il nostro futuro. 
E mi piace ancora di più poter pensare che questo qualcuno sentirà suonare la campana anche per sé.