sabato 10 dicembre 2011

Socrate: facciamo parlare le Leggi


Morte di Socrate - Jean Louis David - New York MOMA
(clicca per ingrandire)

In questi tempi di leggi inique ma “extrema ratio” per salvare l’Europa, non poteva non venirmi in mente Socrate.
Nel Critone, scritto da un giovane Platone1, questi ci racconta perché Socrate si decise ad accettare la sua ingiusta condanna invece di scappare per sottrarsi alla morte.

Socrate era stato processato per due capi d’accusa del tutto pretestuosi: corruzione morale dei giovani, che avrebbe incitato alla ribellione, e il mancato rispetto della religione di Atene.
Il filosofo si difende da solo (ovvio!) attaccando il tribunale con la faccia come il deretano: a lui è dovuta non una condanna ma una rendita a vita, per aver educato la gioventù ateniese.
Accetta poi una multa, ma provoca il tribunale affermando che la accetterà solo se ridicola. Al rifiuto di andare in esilio, il tribunale lo condanna a morte.

Socrate è in prigione in attesa dell’esecuzione quando il suo allievo Critone, corrompendo una guardia, va a trovarlo cercando di convincerlo a scappare. Non solo perché la condanna è ingiusta, ma anche perché il popolo ateniese avrebbe giudicato molto male i suoi allievi se non lo avessero esortato e aiutato a fuggire.
Socrate liquida la seconda motivazione affermando che solo i saggi possono giudicare; il giudizio del popolo sulle questioni etiche non va tenuto in considerazione. Si sofferma invece a lungo sulla liceità di una fuga, apparentemente giustificata dall’ingiustizia subita.

Dialogando con Critone, il filosofo inscena una prosopopea, un artificio retorico in cui si fanno parlare entità non umane impersonificandole.
Socrate immagina che durante la sua ipotetica fuga le Leggi gli si parino davanti e gli si rivolgano più o meno così:

Socrate, che stai facendo? Fuggi? Non avevamo convenuto che tu saresti dovuto sottostare a noi senza discutere? Non ci pare di aver stabilito che tu avresti potuto giudicarci.
Hai vissuto settant’anni sotto la nostra protezione, sei nato perché noi abbiamo sancito il matrimonio dei tuoi genitori, sei stato educato e sei quello che sei perché noi abbiamo stabilito che tu dovevi essere educato.
Sei una nostra creatura, siamo le tue Leggi e la tua Patria, ti abbiamo protetto per consentirti di vivere come più ti è piaciuto. Avevi una sola scelta: ci potevi persuadere a cambiare o ubbidirci senza discutere; quello che non puoi fare è violarci.
E tu, bada bene, saresti più colpevole di altri nel disubbidirci, perché noi ti siamo sempre state gradite; hai insegnato ai giovani che non possono fare a meno di noi per vivere in pace, per costruire una società giusta.
Potevi andartene, potevi decidere di sottostare alle leggi di Sparta o di Creta se non ti fossimo piaciute, ma non lo hai fatto e non hai neanche accettato l’esilio perché le regole di Atene ti piacciono. Ogni buon cittadino ama le regole e tu sei stato un buon cittadino e un buon maestro.
Se scapperai, darai un ottimo motivo ai tuoi accusatori per credere che la condanna sia stata giusta: saresti un sovvertitore delle Leggi. E’ questo che vuoi? Ricorda: sei stato trattato ingiustamente non da noi, ma dagli uomini.

Critone non ha più parole: il maestro ha ragione. Socrate berrà la sua cicuta.
Le Leggi dicono anche un’altra cosa a Socrate, ma l’ho lasciata per ultima perché merita un commento particolare:

Se scappi ci avrai nemiche, e noi parleremo male di te alle nostre sorelle che regolano l’oltretomba. Sei sicuro che ne valga la pena?

Onde evitare che quest'ultima minaccia delle Leggi ci porti a credere che, alla fine, ciò che convince Socrate è solo la paura della punizione divina, vale la pena di fare una piccola digressione sul suo sentimento religioso.   
Il rapporto tra Socrate e gli dèi era regolato da un dáimon, una sorta di “genietto” inferiore agli dèi e superiore all’uomo, che viveva dentro di sé e gli faceva sorgere ogni sorta di dubbio etico prima di compiere un’azione. Potremmo paragonarlo all’imperativo categorico kantiano e al Super-Io freudiano. Non è quindi devozione alla tradizione religiosa la sua (e sarà questa una delle ragioni per la sua condanna) ma un’interpretazione personale e innovativa della religione, che governa l’anima dell’uomo più che i fenomeni del mondo.   
Tornando alla nostra attualità, di nefandezze e iniquità legislative e decretizie ne abbiamo viste tante e ne vedremo ancora. Mala tempora currunt, sed peiora parantur.
Dobbiamo bere la nostra cicuta? Tanto per cambiare, non lo so.

[1] Socrate non ha mai scritto una riga. Conosciamo il filosofo dai suoi allievi che ne hanno scritto in lungo e in largo. Tra questi spicca Platone che nella Apologia di Socrate e nel Critone racconta in maniera fedele il processo e l’autodifesa di Socrate, insieme alla sua rinuncia alla fuga.   

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