sabato 25 settembre 2010

Falcone e Borsellino chi?



Qualche tempo fa parlavo con un giovane studente universitario, italiano, laureando in economia all’Università della Svizzera Italiana, del più e del meno.
Cercavo di parlare del più e non del meno, come sempre (e sempre di più) preoccupato per il livello culturale della classe dirigente del futuro. Come spesso accade, gli stavo rompendo le scatole con i princìpi che vengono prima dei fatti, del “know what” che viene prima del know how, invitandolo a riflettere sulle virtù dell’ignoranza consapevole. Del come le idee nascono dalla continua ricerca del dubbio.
Il giovane è stato volentieri al gioco, capace di ribattere difendendo vivacemente il suo status intellettuale e i suoi modi di vita, finché, non ricordo a quale proposito, ho nominato Falcone e Borsellino. Un attimo drammatico (per me), uno sguardo perso (il suo): non sapeva chi fossero, mai sentiti.

Mi pare che una classe dirigente di questo livello culturale, ma soprattutto di questo livello di inconsapevolezza, non possa che essere costituita solo da yes men. Da dove prenderà il mondo del futuro le nuove idee? 
Mi faccio, vi faccio, una domanda non retorica: sto sbagliando io nel preoccuparmi?

P.S: vado in vacanza (senza internet ma con carta e penna!), ci risentiamo dopo il 6 ottobre.

domenica 19 settembre 2010

Assicurazioni malattia: l’ignobile pianto autunnale


Arriva l'uovo di Pasqua autunnale che ogni anno aspettiamo con ansia: di quanto aumenteranno le nostre assicurazioni malattia per l'anno prossimo? Stiamo pur certi che quando avremo rotto l'uovo non rimarremo delusi: è proprio come pensavamo. Sono aumentate. Che strano, ma davvero?

Che cos'è la salute di un popolo? E' un bene individuale ma è anche un bene pubblico, perché se il popolo è in salute la nazione produce di più con maggiore efficienza e minori costi.
Anche il patrimonio forestale di uno Stato è un bene pubblico, perché produce ossigeno, ripara dalle frane ed è bello da fruire. Ma nessuno ha ancora convinto gli alberi a sottoscrivere una polizza assicurativa. Gli alberi non possono essere menati per il naso perché non hanno il naso. Che peccato. E sì che ce ne sarebbero di bravi, solerti e disinteressati imprenditori pronti a fornire magnifici prodotti assicurativi agli abeti.

Quando gli svizzeri sono stati chiamati a decidere se optare per un'assicurazione malattia unica e statale, la maggioranza non ha compreso che stava votando per dei princìpi, non per un modello economico. Se il sistema unico statale fosse riuscito o no ad abbattere i costi della salute (io penso di sì) era secondario rispetto ai princìpi.
Ma di quali princìpi sto blaterando? Eccoli:

1) la tutela di un bene pubblico non può essere affidata ad un'entità privata che abbia scopo di lucro. La logica del profitto fa a pugni con il concetto di "pubblico". Riuscite ad immaginare un azionista di un'assicurazione malattia disperarsi per l'aumento dei costi delle cure? Io no.
L'obiettivo di bilancio di un'entità statale è il pareggio: né dividendi né perdite. L'obiettivo di una SA è incompatibile con questo principio. Potremmo obiettare: sì ma se lo stato non fa utili come fa a investire sulle nuove cure? Attenzione, non confondiamo i dividendi da distribuire agli azionisti con gli investimenti, sono due cose molto diverse.   

2) Il tanto sbandierato principio della solidarietà non è quello che si sforzano di propinarci le assicurazioni: tutti pagano per tutti. Il principio della solidarietà è che tutti pagano per tutti secondo la loro capacità. E' lo stesso principio che governa il pagamento delle imposte e proprio non si vede perché non debba essere applicato per questo tipo di bene pubblico. Ancora una volta, il patrimonio forestale è curato dagli interventi pubblici, quindi ognuno cura gli alberi di tutti secondo la sua capacità, quindi in base al suo reddito.

3) L'assicurazione malattia è, giustamente, obbligatoria. Ma non vedo perché io debba essere obbligato ad un contratto con un privato. Fatemi scegliere un assicuratore che per sua natura non possa fare accordi (cartelli) con i suoi concorrenti. In questo senso tutte le assicurazioni obbligatorie (anche quella dell'auto, sebbene il bene sia individuale e non pubblico) dovrebbero almeno avere un'alternativa statale.  

4) Spero che tutti sappiano che la scelta tra assicurazione privata/semiprivata o di base non è semplicemente la scelta della sistemazione alberghiera: si tratta purtroppo di una classificazione tra pazienti di seie A e pazienti di serie B. Leggete la risposta dell'Ente Ospedaliero Cantonale a questa interrogazione e la umoristica conclusione del Consiglio di Stato:
A dir poco ignobile per un paese civile; una regola di cui l'assicuratore privato non parla al momento della sottoscrizione e che va semplicemente cancellata. Questo non sarà mai possibile senza l'intervento dello Stato.  
 
5) L'applicazione dei principi suddetti non è incompatibile con il liberismo economico: i privati sono liberi di proporre tutte le assicurazioni complementari che vogliono.

Bene, adesso che l'ho detta tutta, accoglierei volentieri commenti che mi dimostrino che ho torto. Ma che dimostrino, non che si limitino ad affermarlo.

giovedì 16 settembre 2010

Quanto è ancora difficile essere donna?


Nel 1879 Gustave Le Bon (poi vi dico chi è) scrive:

Tra le razze più intelligenti esiste un gran numero di donne i cui cervelli sono più vicini nelle dimensioni a quelli dei gorilla che non a quelli dei maschi più sviluppati. Questa inferiorità è talmente ovvia che nessuno potrebbe contestarla per un momento; quello su cui si può discutere è il grado d’inferiorità. Tutti gli psicologi che hanno studiato l’intelligenza delle donne riconoscono oggi che esse sono la forma più bassa dell’evoluzione umana e che sono più simili ai bambini e ai selvaggi che non all’uomo civilizzato. Sono assolutamente incostanti, mancano di pensiero e di logica e sono incapaci di ragionare. Senza dubbio esistono donne di notevole talento, ma esse sono eccezioni come la nascita di una qualsiasi mostruosità, per esempio un gorilla con due teste, e possiamo quindi evitare di prenderle in considerazione.
(G. Le Bon, Recherches anatomiques et mathématiques sur les lois des variations du volume du cerveau et sur leur relations avec l'intelligence, 1879)

Ora, il punto è che Gustave Le Bon non era un cretino. Era uno psicologo e sociologo di chiara fama, uno scienziato che tutt’oggi è ricordato come il fondatore della psicologia sociale, e il suo famoso saggio Psychologie des foules è tutt’oggi citato nelle pubblicazioni scientifiche. Come è stato possibile che un uomo di scienza, colto e con una reputazione da difendere abbia raggiunto una simile bassezza?
Nell’800, sull’onda illuminista del secolo precedente, la scienza ha fatto enormi progressi e un mare di errori. Tutto era misurabile, e con le misure si pretendeva di valutare qualunque risultato complesso, compresa l’intelligenza umana. Così si diffusero le tecniche e gli approcci bio-deterministici come la craniometria, la pesatura dei cervelli e, sul finire del secolo, l’uso distorto del Quoziente Intellettivo. Inutile dire che questi approcci, completamente sballati dal punto di vista scientifico, furono di grande utilità per “dimostrare” l’inferiorità dei tipi umani non socialmente approvati dalla cultura del tempo (non che sia cambiato molto): negri, delinquenti, zingari, omosessuali e, già che c’erano, per dimostrare l’indiscutibile supremazia del maschio umano sull’altro sesso.
L’errore serpeggiò talmente negli ambienti accademici che persino la celebre pedagogista Maria Montessori vi cadde all’inizio del ‘900 quando, dopo aver misurato le teste dei suoi allievi, scrisse una pari stupidaggine, ma di segno opposto:   

Le donne sono intellettualmente superiori agli uomini, ma questi ultimi hanno finora prevalso grazie alla forza fisica. Dato che la tecnologia ha abolito la forza come strumento di potere, l’era delle donne può essere prossima.
(M. Montessori, Antropologia pedagogica, 1911)

Ora mi domando e vi domando: quanto di questa pseudo-scienza condiziona tutt’oggi il nostro modo di pensare? Anzi, quante delle tesi preconcette ottocentesche che sono state riverite da alcuni scienziati in modo ignobile, strisciano ancora tra noi? Quanto dobbiamo vigilare perché prima o poi una convincente ma non dimostrabile teoria si metta al servizio del potente di turno o della paura del momento?

Il mio pensiero va alla celebre matematica Sophie Germain (immagine in alto), che sul finire del ‘700 dovette fingersi maschio per poter inviare i suoi lavori, di altissimo livello, alla École Polytechnique di Parigi. Alla fine la sua capacità fu riconosciuta negli ambenti accademici, ma l’ostracismo nei suoi confronti durò fino a dopo la sua morte. Sophie si dedicò negli ultimi anni allo studio dell’elasticità dei materiali e questi studi risultarono fondamentali per la costruzione delle grandi opere in ferro tra cui la Tour Eiffel. In cima alla torre sono immortalati i nomi di settantadue scienziati ma quello di Sophie, cercatelo, non c’è.
 
E qui vengo all’ultima e cruciale domanda: quanto è ancora difficile essere donna?
Spero tanto che qualche amica voglia dire la sua.

martedì 7 settembre 2010

Creazionismo: un delitto


Non c'è nulla di scientifico nel cercare indizi che si pieghino a dimostrare una tesi "vera" in partenza, quella della creazione. La ricerca scientifica procede per ipotesi che possono risultare verificate o non verificate, non è al servizio di presunte verità accettate in senso fideistico.
I creazionisti stanno tentando di usare la scienza non per dimostrare la veridicità della creazione, ma per dimostrare la falsità della teoria dell'evoluzione in quanto "nemica" della "verità" creazionista. Purtroppo con qualche successo, dovuto alla facile presa che hanno le teorie sballate su una diffusione della conoscenza scesa al di sotto del livello di guardia. 

Invece la domanda delle domande è ancora, per fortuna, senza risposta. Più conosciamo, più questo senso di abisso dell'ignoto si accresce. Di fronte a questo smarrimento occorre la grande virtù dell'umiltà, quella che ci fa scegliere la strada del "non lo so" piuttosto che trovare immediate e facili soluzioni teiste.
Supponiamo, per assurdo, che la teoria figlia di Darwin sia un giorno scientificamente e clamorosamente smentita. Questo non vuol dire che saremo costretti ad accettare la tesi creazionista ma solo che sarà necessario intraprendere un’altra strada. Questa è la Scienza con la S maiuscola, quella che non si arrende.
Invece la creazione è una ricetta preconfezionata che umilia le capacità speculative dell'uomo, fornendo delle certezze in cui si può solo avere fede. Ragionarci su è del tutto inutile. Questo è il modo per uccidere la ragione, la curiosità, la ricerca, la fantasia. Un delitto.

E quando penso alle responsabilità degli educatori, non mi riesce d'immaginare un modo peggiore per stimolare la crescita del pensiero. Non è infatti la certezza ma il dubbio l'humus dove si avvera lo sviluppo del pensiero umano, inteso nella più ampia accezione: filosofia, scienza, arte e, non ultima, la religione. Quando un educatore risponde "non lo so" all’ultimo perché, apre un’infinità di vie, non chiude la pietra tombale della certezza. E potrà percorrere quelle vie con quegli allievi che hanno bisogno di sapere, non di una morte precoce del pensiero.    

sabato 4 settembre 2010

Quale civiltà possiamo opporre?


Sta scatenando un putiferio la pubblicazione del libro "La Germania si distrugge da sola" di Thilo Sarrazin, membro del direttorio della Bundesbank (probabile l'espulsione) che paventa la "islamizzazione" della Germania e accusa la politica d'immigrazione tedesca di essere cieca e sorda di fronte alla minaccia. Non l'ho letto, se non alcuni spezzoni pubblicati qua e là nei quali sento odore di Mein Kampf :
"Ci preoccupiamo del clima del mondo tra 100 o 500 anni. Perché dovremmo essere interessati al clima tra 500 anni, quando il  programma tedesco per l’immigrazione sta lavorando per l’estinzione dei tedeschi?".

Sento in giro, e capisco, un diffuso senso di preoccupazione per l'immigrazione islamica. Credo che la preoccupazione sia giustificata, perché una società così permeata dalla religione, nella quale è difficile distinguere tra diritto e dottrina, farebbe fare un balzo indietro all'Europa di cinquecento anni. Ma credo anche che se il nostro modello di società dovesse soccombere, sarebbe solo colpa nostra.
Quale civiltà possiamo opporre? Su quale etica possiamo contare per contrastare con princìpi ferrei chi ci volesse imporre quella dei libri sacri? Quella dell'iPod?
Ogni etica basata sul divino è più forte di nessuna etica. E noi non abbiamo più idee, perché le abbiamo sostituite con gl'interessi. Chi ha annullato la modalità dell'essere in favore di quella dell'avere soccomberà.

Tornare all'essere, ecco la nostra difesa. Conoscere, istruire, sviluppare investendo nel sapere. Mandare a casa i governanti che non hanno altro riferimento che il denaro, cacciare via i mercanti dal tempio. Rivedere i nostri modelli di vita, insegnare ad accontentarsi, essere fieri di non avere, fieri di pensare e fieri di non guardare la televisione. Fieri di aver capito che non è con il possesso delle cose che soddisfiamo la nostra brama di piacere. Rifondare la nostra etica, ecco la priorità per non soccombere.
Ho tanta speranza in un futuro così, e tanta paura che non sarà così.

Per non dare adito a dubbi, non è l'Islam in particolare che mi preoccupa. Non dimentichiamo che la Biblioteca di Alessandria è stata rasa al suolo tre volte, la prima dai Romani, la seconda dai Cristiani, la terza dai Musulmani.
E' tempo di capire che ricostruirla è un'emergenza assoluta. E poi, dovremo difenderla con i denti contro chiunque la voglia piena solo di libri sacri.