sabato 3 marzo 2012

Euro e grammatica


Lo sapevate che esiste "la" lingua europea? No, non parlo dell'inglese e neanche dell'Esperanto, ma della nuova lingua che è nata insieme all'Euro.
In tempo di crisi per la moneta unica, ricordiamoci che il povero Euro ha anche una funzione linguistica: c'è poco da ridere, esiste una lingua europea che ha un lessico composto da due parole. Precorre un tempo lontano, sempre più lontano, forse immaginario.    
Le due parole sono "Euro" e "Eurocent". La seconda, il centesimo, si scrive rigorosamente senza puntino. Ma se la prima la usiamo tutti, non ho mai sentito qualcuno usare la seconda.
Questa lingua nasce il 26 ottobre 1998, con la direttiva europea che sancisce come si usano in tutta Europa queste due parole.  

Non c’è molto da dire sull’origine di parole così moderne e così “artificiali” che nascono per decreto. Invece la domanda interessante è: qual è il plurale di Euro? Se credete di non avere alcuna incertezza in merito, leggete e vi verrà. 
La risposta sembra facile; basta leggere cosa c’è scritto sulle banconote: 10, 20, 50 Euro e non Euri.
Sulle banconote svizzere è scritto “dieci franchi”, ma la banconota circola solo in Svizzera e non è difficile far sottostare la valuta alle regole delle quattro grammatiche confederate; in fondo è sufficiente riportare l’espressione “solo” quattro volte su ogni banconota...


Come sarebbe mai possibile invece rendere il nome della valuta europea compatibile con le grammatiche di tutti i paesi dell’Unione? Ecco perché “Euro” è una parola convenzionale che sottostà ad una regola convenzionale: Euro al singolare e al plurale. 

La questione Euro - Euri è stata dibattuta a lungo, a causa di prese di posizione autorevoli e contrastanti: l’Accademia della Crusca, la più alta autorità in tema di lingua italiana, già nel 1996 si era espressa a favore di “Euri”, mentre la direttiva di cui sopra sanciva l’invariabilità di Euro.
Un caso senza precedenti: per la prima volta un organismo politico internazionale si pronunciava su una questione linguistica, costrettovi dall’eccezionalità del caso, una parola senza nazionalità. 
Con successiva presa di coscienza della particolarità, l’Accademia della Crusca ha fatto in seguito marcia indietro. Ha scritto il Professor Francesco Sabatini, all’epoca presidente dell’Accademia: “una parola dotata di una sua particolare fisionomia, portatrice di una semantica che quasi la isola nel contesto morfosintattico... la prima parola di una lingua europea non nazionale“.

Ma, ripeto, la risposta “sembra” facile. In realtà la questione rimane inutilmente controversa, perché la citata direttiva europea del ’98, con una incomprensibile mancanza di coerenza, ha decretato l’invariabilità della parola per l’inglese, l’italiano ed il tedesco, ma non per il francese (les euros), lo spagnolo (los euros), il finlandese (eurot), lo svedese (eurorna), pur stabilendo che comunque in tutti i paesi la parola deve essere riportata in forma invariabile sulle banconote.      
Insomma, ci piacerebbe dire “Euro, finalmente, e non se ne parli più!”, ma gli organismi della UE non ci aiutano, creando ulteriore confusione. E’ proprio vero che bisognerebbe lasciare fare ad ognuno il suo mestiere, e la grammatica non pare essere quello dell’Unione Europea. 

Oggi possiamo dire che questa incoerenza lessicale non è altro che il simbolo, oggi più valido che mai, di una incoerenza di sostanza a cui va posto riparo. 
Qui o si fa l'Europa o si muore.   

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