sabato 19 febbraio 2011

Altro che Ferrari. Andare a 2.160.000 Km/h!

Seduti in poltrona, televisore spento, penombra, una bella musica conciliante, è il momento dei pensieri gratuiti, quelli che non servono a nulla e perciò sono fondamentali. Uno di questi, vi invito a farvelo venire, è "ma dove sta andando la mia poltrona?"

Dove, e a quale velocità? A causa della rotazione della Terra intorno al suo asse, la poltrona sta viaggiando a circa 1.200 Km/h (alla latitudine di Milano) ma il moto è molto più complicato: l'asse terrestre è inclinato di circa 23.3 gradi rispetto al piano dell'orbita intorno al Sole, la forma della Terra non è perfettamente sferica, e la Terra è sottoposta a forze di marea dovute alle masse del Sole e della Luna, tali che la mia poltrona non solo cammina lungo il parallelo terrestre in cui si trova ma va anche lentamente in tondo con piccole scossette laterali. Si chiamano movimenti di precessione e nutazione, molto simili a quelli di una trottola che vediamo compiere dei cerchi durante la rotazione:

La nutazione è dovuta al fatto che le attrazioni gravitazionali del Sole e della Luna non si esercitano in maniera invariabile e costante, ma sono variabili in funzione della posizione relativa di Terra, Luna e Sole. Inoltre, l'attrazione del Sole non è ugualmente distribuita su tutta la Terra, ma è maggiore sul lato rivolto al Sole e minore su quello opposto, pur nella dinamiicità della rotazione terrestre con poltrona al seguito. Le forze risultanti sono quindi estremamente complesse e danno luogo a una specie di scuotimento come nello shaker per fare i cocktails.

Vi sentite un po' sbattuti? Calma, non è finita qui, anzi siamo solo all'inizio. La poltrona, nel percorrere la sua orbita ellittica intorno al sole, viaggia ad una velocità media di 107.000 Km/h senza farsi beccare da nessun radar o autovelox che dir si voglia.
Ma l'intero sistema solare, contenente la poltrona, ruota su se stesso intorno al suo centro di massa (baricentro). Questo non corrisponde al centro del Sole ma si situa in un punto variabile nel tempo tra le due grandi masse del sistema: il Sole e Giove. Mediamente, il movimento di rotazione del sistema su se stesso (un giro completo ogni 12 anni) si compie ad una velocità misurata sulla Terra di 43 Km/h.
Ahhh, chissà che m'immaginavo.

Volete schiacciare un po' di più sull'acceleratore della poltrona? Ho pane per i vostri denti. L'intero sistema solare ruota intorno al centro della galassia, da cui dista circa 30.000 anni/luce. Volete questa distanza in chilometri? Sono 283.824.000.000.000.000.
Il giro completo del sistema intorno al centro galattico dura 225 milioni di anni, come dire che dalla nascita del sole quest'orbita è stata compiuta non più di una ventina di volte. Velocità della poltrona? Beh, forse è il caso di allacciare le cinture: 720.000 Km/h.

Disegno ipotetico della nostra galassia
(clicca per ingrandire)

E la nostra galassia dove va? Si muove, assecondando il moto espansivo dell'universo e l'attrazione gravitazionale tra queste mostruose masse che sono le galassie, in direzione della costellazione del Leone. Alla nostra poltrona-proiettile si aggiunge un'altra traiettoria percorsa alla modica velocità di duemilionicentosessantamila Km/h.

Riassumendo, la poltrona:
- ruota intorno all'asse terrestre a 1200 Km/h
- fa un giro di precessione ogni 25.800 anni
- oscilla lateralmente per la nutazione con periodi di 18 anni
- gira intorno al Sole a 107.000 Km/h
- ruota sul baricentro del sistema solare a 43 Km/h
- gira intorno al centro galattico a 720.000 Km/h
- si sposta verso la costellazione del Leone a 2.160.000 Km/h
E perché dovrei emozionarmi andando in Ferrari a 300 all'ora? E' come essere fermi.

Un po' d'inquietudine: la poltrona, la Terra, il Sole e la nostra galassia vanno come schegge senza guardare dove. E non ci sono né sterzo né freni. Eppure, in diversi miliardi di anni non siamo mai andati a sbattere. In effetti i corpi celesti nell'Universo sono una rarità e le distanze tra di loro sono talmente inimmaginabili che se noi avessimo una magica astronave superveloce e attraversassimo l'intera galassia con gli occhi bendati, le probabilità di urtare contro qualcosa resterebbero vicinissime a zero. Guardando la foto di una galassia abbiamo l'impressione di alta densità di materia, ma se potessimo avvicinarci abbastanza da entrarci dentro, ci ritroveremmo al buio, con tante stelle alla vista, esattamente come in una nostra notte stellata: 


Van Gogh, l'astronomia e la fisica parlano la stessa lingua, quella  del bello e delle meraviglie. Da pensarci in poltrona. E se qualcuno, guardandovi perplesso, vi dovesse dire che avete lo sguardo perso nel vuoto, rispondetegli "è vero, vieni anche tu".     

sabato 12 febbraio 2011

Damnatio memoriae


La damnatio memoriae, il decreto con cui si cancellava ogni ricordo di un nemico di Roma, chiuse con infamia una carriera iniziata ignobilmente e finita peggio. E' la carriera di Commodo, figlio di Marco Aurelio e imperatore a Roma dal 180 al 192. La sua storia è importante e ispiratrice: provate a seguirmi e mi darete ragione.

Tanto per dargli un volto, lo immaginiamo con quello del bravissimo Joaquin Phoenix nell'hollywoodiano Il gladiatore; tutti l'abbiamo odiato come uno dei cattivi meglio riusciti della storia del cinema.
Il parallelo con Hollywood finisce qui, perché la vera storia di Commodo è anche peggiore di quella, pur infame ma finta, dell'assassino di Massimo Decimo Meridio.
A sua unica discolpa, preciso subito che Commodo molto probabilmente non assassinò Marco Aurelio: di tre testi storici consultati, vince l'innocenza per 2 a 1. Ma qui finiscono le innocenze di Commodo.

Dunque, nel 180 Marco Aurelio muore a Vindobona (Vienna, per i comuni mortali) dove stava combattendo da una decina d'anni un'interminabile guerra contro i Germani che minacciavano il limes danubiano.
E la stava vincendo quando Commodo, nuovo imperatore, preferì tornarsene a Roma tra la costernazione dei suoi stati maggiori, concludendo con i Germani un trattato di pace del tutto sfavorevole a Roma. Un grande inizio d'impero.

A Roma Commodo licenziò (o fece uccidere, ma è una sottigliezza) molti dei senatori che Marco Aurelio avvedutamente gli aveva preparato per un governo illuminato e li sostituì con una  truppa di "yes men" pronti ad appoggiarlo in cambio della partecipazione ai suoi fasti. Vi riporto cosa scrive di quel senato e della corte di Commodo Jean-Baptiste Crevier nella sua Storia degli imperatori romani del 1751*:

"Ogni uomo saggio, e chiunque era mediocremente versato nelle lettere, doveva aspettarsi d'essere cacciato dalla corte come un pericoloso nemico. I commedianti, gli osceni pantomimi governavano e signoreggiavano il principe, a nient'altro intento che a guidar carri, e a combattere contro le fiere; e gli adulatori gli esaltavano questi indegni esercizi come grandi e gloriose imprese. Quindi crudeltà da una parte, infamie, stravaganze e indecenze dall'altra formano il ritratto di Commodo, e tutta la serie delle azioni che avremo a riportare di lui fino alla sua morte."

Commodo aveva una vera predilezione per i combattimenti dei gladiatori: indiceva tornei che duravano settimane o mesi e vi partecipava personalmente. Con le carte truccate però: si armava di spade affilatissime e faceva spuntare quelle dei suoi avversari. Il culmine della sua bassezza fu raggiunto quando, come ci racconta lo storico Cassio Dione, suo contemporaneo, inscenò nell'arena una battaglia contro i "mostri", che stravinse facendoli tutti a pezzi in un'orgia di sangue. I "mostri" erano impersonati da poveri storpi raccolti per strada, armati di finte pietre fatte con delle spugne. Quell’eroica vittoria valse a Commodo (per suo proprio decreto) il titolo, fra i tanti, di "Ercole".

Jean-Léon Gérôme (1824-1904) - Pollice verso
(clicca per ingrandire) 
 
Ma Commodo si proclamava anche tante altre cose; ecco l'intestazione dei documenti imperiali indirizzati al Senato: 
"L'Imperatore Cesare Lucio Elio Aurelio Commodo Augusto, Pio, Felice, Sarmatico, Massimo Germanico, Britannico, Pacificatore dell'Universo, Invincibile, Ercole Romano, Gran Pontefice, adorno della potestà tribunizia per la decima volta, otto volte imperatore, sette volte console, padre della patria, ai consoli, ai pretori, ai tribuni del popolo, e al felice senato commodiano, salute."

E “commodiano” non era solo il Senato, ma perfino la città di Roma, ribattezzata "Colonia Commodiana".
Il bravo e morigerato imperatore era leggermente pieno di sé, e il popolo, della cui adorazione egli aveva una sete insaziabile, cominciò ad avere vergogna di lui. Ecco un'altra testimonianza di Crevier:

"Veniva ricolmato di applausi: gli stessi senatori ripetevano le acclamazioni, che venivano loro dettate, e per ogni cento risonavano le sue lodi, mentre non v'era alcuno degli spettatori che non arrossisse sino al fondo dell'animo per l'ignominia di cui si ricopriva il capo dell'Impero.
Bisogna dire che in mezzo a questi concertati applausi sfuggiva qualche involontario indizio degl'interni sentimenti che li smentivano; da che Commodo sospettò che si facessero beffe di lui, e ne prese tanto sdegno, che fu sul punto di dar ordine ad una truppa di soldati, che facesse man bassa sopra il popolo. Voleva anche mettere a fuoco la città, che era a suo credere tanto più rea, che essendo sua colonia, gli doveva per tal ragione un nuovo grado di affetto e di riverenza. Leto, prefetto del pretorio, lo distolse da sì furioso divisamento, ma il pubblico n'ebbe qualche sentore, e si può facilmente immaginare come perciò s'accrescesse il suo odio contro il principe.
Vedendo di esser l'oggetto di un odio universale, ne comprese il pericolo; ma non voleva opporvi la sola efficace difesa che sarebbe stata il cambiar condotta, e ricorse a nascondersi nelle sue case di delizia, da cui rade volte usciva, e portando la sua diffidenza tanto innanzi, che adoperava una leggera fiamma per bruciarsi i peli della barba e l'estremità dei capelli, temendo di affidare il suo capo al rasoio d'un barbiere."

A questo punto cominciò l'auto-distruzione di Commodo: accecato dal sospetto di congiure vere e presunte, fece massacrare collaboratori, amanti, parenti ed amici. Quando la sua concubina prediletta Marcia scoprì di essere in cima alla lista dei prossimi condannati, giocò di anticipo e lo fece strangolare nel bagno da un servitore.
Al nuovo imperatore, Publio Elvio Pertinace, il Senato rivolse quest’appello:

"Che il ricordo dell'assassino e del gladiatore sia cancellato del tutto. Lasciate che le statue dell'assassino e del gladiatore siano rovesciate. Lasciate che la memoria dell'osceno gladiatore sia completamente cancellata. Gettate il gladiatore nell'ossario. Ascolta, o Cesare: lascia che l'omicida sia trascinato con l'uncino, alla maniera dei nostri padri. Più feroce di Domiziano, più turpe di Nerone. Ciò che ha fatto agli altri, sia fatto a lui stesso. Sia da salvare invece il ricordo di chi è senza colpa. Sia ripristinato l'onore degli innocenti."

Il Senato dichiarò Commodo hostis publicus (nemico pubblico) e lo condannò alla damnatio memoriae, cioè alla cancellazione di ogni ricordo di lui: monumenti, iscrizioni, immagini e scritti.
A quanti stanno tirando un sospiro di sollievo perché "giustizia fu fatta", devo dare una brutta notizia: la damnatio memoriae di Commodo durò solo due anni. Pertinace finì anch'egli assassinato (ma va'?) e il suo successore, Settimio Severo, riabilitò la memoria di Commodo.
Perché? Per puro opportunismo: per ottenere legittimamente il trono Settimio Severo doveva avvalorare una sua dubbia parentela con la stirpe degli Antonini, la stessa di Marco Aurelio e Commodo. Settimio comprò la parentela con la promessa di riabilitare il "gladiatore".
Ma Roma tornò per sempre (si spera) a chiamarsi Roma, è già qualcosa.
       
Dimenticavo, da tutta questa edificante storia avete per caso colto delle analogie con il presente? Siete proprio dei malpensanti. Come me.  



* Jean-Baptiste-Louis Crevier, Storia degli imperatori romani, 1751, Vol XIII

sabato 5 febbraio 2011

La Scuola di Atene


Amo le idee che non servono ad aumentare il PIL, le espressioni del pensiero "non funzionale”.

Se vi siete già fatti del male leggendo il mio precedente post sul De brevitate vitae senechiano (in caso contrario cliccate qui), vi sarete fatti un'idea, ammesso che io sia riuscito a spiegarmi, della scomparsa del tempo quando perseguiamo la conoscenza. Da quando esiste l'Uomo c'è un edificio in costruzione, quello del sapere, che ci dona l'eternità. Sappiamo che chi ha lavorato in questo cantiere l'ha fatto per noi e sappiamo che se riusciamo minimamente a contribuire, anche solo facendo i portatori della malta, lavoreremo per chi verrà dopo e saremo ammessi anche noi alla vita eterna. Perché questa costruzione non terminerà mai.

Ebbene, premesso che di arte ci capisco poco o nulla, c'è un affresco di Raffaello che rappresenta bene quello che intendo dire. E' la "Scuola di Atene", che ricopre una parete dell'appartamento privato di papa Giulio II, in una delle cosiddette "stanze di Raffaello" in Vaticano.
Dipinto intorno al 1510, rappresenta un edificio ideale in cui i pensatori dell'antichità (anzi di oggi, domani e sempre) sono rappresentati insieme senza alcun riguardo per la successione temporale delle loro vite. Il tempo è cancellato, del tutto irrilevante al cospetto dell'edificio del sapere.

Invitandovi a cliccare sull'immagine in alto per vedere l'affresco in alta definzione (magari apritela in una nuova finestra, così potete leggere e guardare l'affresco contemporaneamente), noterete che solo i due personaggi al centro sono volutamente identificabili: Platone e Aristotele. Il primo ha in mano il Timeo, il secondo l'Etica. Tutti gli altri, dato che di Raffaello so poco, li ho dovuti identificare leggendo una spiegazione didascalica su Wikipedia: qui (andate in basso nella pagina). E' divertente Socrate, quello con la tunica verde oliva, che dando le spalle a Platone e Aristotele, con piglio severo sembra dire "il numero uno sono io!"

E così vediamo filosofi, matematici, astronomi, sovrani e contemporanei di Raffaello tutti insieme nell'edificio della conoscenza. Contemporanei? Sì, e mi piace molto; per esempio Platone ha il volto di Leonardo da Vinci, Eraclito quello di Michelangelo, così alcuni personaggi hanno due identità che ben si conciliano con l'indipendenza del sapere dalla dimensione temporale. Ovviamente, non è che tutte queste cose le ha dette Raffaello: sono cinquecento anni che critici e sapienti si arrabattano per identificare i protagonisti.

E' una vera goduria; vorrei essere anch'io nell'edificio, magari seminascosto dietro una colonna con il secchio della malta in mano o con i pannicelli caldi per i maestri. Qualcuno ci ha pensato prima di me: Raffaello ritrae se stesso in basso a destra. Non credo che il pittore lo abbia mai dichiarato, ma a me sembra proprio lui. Guardate il raffronto tra il suo autoritratto (l'ho girato per avere lo stesso orientamento) e il dettaglio dell'affresco:


E adesso lasciatemi dire come si cancella il tempo. Prendete un rappresentante di ognuna delle centomila generazioni che ci hanno preceduto, e immaginateli tutti insieme in un grande stadio. Centomila persone che sono la storia dell'Uomo. Ma l'Uomo, benedett'uomo, chi è? Guardateli, fate scorrere il vostro binocolo di gradinata in gradinata, di volto in volto:

Molti i lenoni e gli assassini
ma alcuni giusti e letterati,
viaggiatori, poeti e deficienti,  
belli, brutti, storpi e mendicanti,
soldati, generali assatanati,
santi, beati ed avvocati,
anime gentili e farabutti;
stragi, incesti e opere pie
tanto è costato l'arrivare a me.

E continua. Portare qualche secchio di malta in quell'edificio è sempre più l'unica via.