domenica 28 novembre 2010

Sapete qual è il documento più tradotto al mondo?


La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani è tradotta in 375 lingue e dialetti, più della Bibbia. Volete leggere l'articolo 1 in sardo?

Artìculu 1
Totu sos èsseres umanos naschint lìberos e eguales in dinnidade e in deretos. Issos tenent sa resone e sa cussèntzia e depent operare s'unu cun s'àteru cun ispìritu de fraternidade.

Volete leggere l'articolo 7 in Romancio?

Artichel set. (7)
Tuots umans sun eguals davant la ledscha ed han il dret da gnir protets egualmaing da la ledscha sainza ingüna distincziun. Tuots han il dret da gnir protets egualmaing cunter mincha discriminaziun chi violess quista Decleranza e cunter mincha provocaziun ad üna tala discriminaziun.   

E, finalmente, volete leggere gli articoli 1 e 7 in italiano?

Articolo 1
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.

Articolo 7
Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad una eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione.

In che modo i paesi membri dell'ONU sono vincolati dalla Dichiarazione? Non è un trattato, quindi non è vincolante per i paesi membri ma è un principio fondante dell'ONU dal 1948. E' fondante perché definisce in maniera inequivocabile i termini "libertà fondamentali" e "diritti umani". In altre parole, se è vero che dalla Dichiarazione non scaturiscono obblighi per i paesi membri, tutti però aderiscono ad una comune definizione dei concetti. Un paese membro non potrà accampare la scusa di non sapere che un certo principio facesse parte dei Diritti Umani.
Ne deriva anche che l'ONU può fare pressione su un paese che non li rispetti, riferendosi ad una ben precisa e condivisa lista di princìpi.

Di più: dai princìpi della dichiarazione scaturisce la Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1976, e questa sì che è vincolante: è un trattato. I paesi membri dell'ONU, in maggioranza ma non tutti, vi hanno aderito. Un esempio a caso di un paese diligente: la Svizzera, che l'ha ratificata nel 1992, dieci anni prima di entrare a pieno titolo a far parte dell'ONU.
Sempre scegliendo a caso, vi cito un articolo della Convenzione:

Article 14
All persons shall be equal before the courts and tribunals.   
(L'articolo è molto più lungo ma la prima frase ci basta).

Mettiamo l'improbabile caso che in un paese ratificante fosse introdotta una discriminazione per gli stranieri davanti alla legge, mettiamo che addirittura un paese inserisse questa discriminazione nella sua Costituzione (ma che dici, sei matto?), allora questo costituirebbe una violazione di una Convenzione Internazionale, soggetta a sanzioni da parte dell'ONU.
    
Domanda: ma tutta questa roba è insegnata a scuola? Non credo, ma spero in smentite.   

Ogni riferimento a quanto accaduto oggi in Svizzera è fortemente voluto.

sabato 20 novembre 2010

Antropologia e razzismo non hanno nulla da dirsi

Vorrei proporvi una riflessione sul passato del genere Homo e qualche speculazione sul suo possibile futuro in senso evoluzionistico, ammesso che noi Sapiens lasciassimo tempo al tempo e non ponessimo fine anticipatamente all'avventura umana, cosa che ha purtroppo notevoli probabilità di accadere. Sarebbe ancora più amaro se trascinassimo con noi nel baratro tutte le altre specie viventi che nulla hanno fatto per meritarlo. Noi, ahimé, sì.

Ricostruzione di un giovane Neanderthal

L'Homo Neanderthalensis si è estinto qualcosa come 25.000 anni fa, non sappiamo perché. Non è stato quindi un nostro progenitore, ma un nostro cugino nel cespuglio dell'evoluzione e abbiamo convissuto a lungo. Oggi si pensa che per 100.000 anni Sapiens e Neanderthal abbiano abitato insieme il continente euroasiatico e si siano anche ibridati tra di loro, prova ne sia l'accertata presenza di geni neanderthaliani nel nostro genoma.
In passato si è creduto che il Neanderthal non avesse sviluppato una "cultura" ma studi più recenti, compresi i ritrovamenti di arte figurativa e di un flauto costruito con un osso, gli assegnano una capacità intellettiva pari alla nostra ed un aspetto molto simile, al punto che il paleontologo William Straus afferma che "se un Neanderthal si potesse reincarnare e porre nella metropolitana di New York, opportunamente lavato, sbarbato e modernamente vestito, si dubita che potrebbe attrarre alcuna attenzione".
L'estinzione dei Neanderthal è uno degli enigmi dell'antropologia oggi piû studiati: ci piacerebbe sapere almeno se si è estinto per colpa nostra.

Ancora più sorprendente è una storia di molto molto tempo prima: la coesistenza del nostro progenitore Homo Erectus con l'Australopithecus Robustus, durata qualcosa come un milione di anni, e finita più o meno un milione di anni fa con l'estinzione del Robustus.

Homo Erectus

Australopithecus Robustus

Qui le cose sono molto diverse rispetto alla rapporto Neanderthal-Sapiens: il Robustus aveva una capacità cranica di 1/3 rispetto all'Erectus ed era oggettivamente una specie inferiore in quanto a intelletto, più vicino a quello di uno scimpanzé che a quello di un uomo. Anche per il Robustus, il motivo dell'estinzione è ignoto e molto più difficilmente indagabile a causa dell'enormità di tempo trascorsa.
Comunque ora abbiamo capito che non dobbiamo più pensare all'evoluzione come un unico binario di storia in cui una specie si succede ad un altra. La coesistenza, il parallelismo temporale, sono la normalità. 

A che ci serve questo noioso ripasso di paleoantropologia?  A fare una riflessione e porci una domanda cruciale.
Il fatto che noi siamo l'unica specie vivente di Homo è una contingenza della storia. Le cose sarebbero potute senz'altro andare diversamente e non è escluso che vadano diversamente in futuro, sempre che riusciamo ad allontanare la fine del pianeta. Non possiamo escludere che in un futuro molto lontano un altro primate si evolva in un'altra specie di Homo, con caratteristiche molto diverse dalle nostre.
Scrive Stephen Jay Gould, un grande divulgatore nonché biologo e zoologo: "il Robustus sarebbe potuto benissimo sopravvivere e oggi ci porrebbe di fronte a tutti i dilemmi etici di una specie umana realmente e marcatamente inferiore come intelligenza. Avremmo costruito zoo, costituito delle riserve, promosso la schiavitù, commesso dei genocidi, o forse praticato la gentilezza?"

Ragionando in grandi scale di tempo e di spazio, si vede quanto misero e artificiale sia il razzismo contemporaneo: le cosiddette "razze" umane non esistono; sempre Gould afferma che non c'è un solo gene dell'Homo Sapiens che esista solo in un gruppo e non esista in nessun altro gruppo. Al punto che un genetista di cui purtroppo non ricordo il nome ha detto che se, per assurdo, tutta l'umanità si estinguesse tranne una singola tribù dell'Africa centrale, l'intero patrimonio genetico dell'uomo sarebbe comunque salvo. Einstein e Madre Teresa potrebbero ancora nascere.
Che faremmo oggi se avessimo accanto a noi un Homo veramente inferiore? Meno male che non conosciamo la risposta. 

E, per finire, la storia dell'evoluzione dei primati ci insegna anche un'altra cosa: se noi ci estinguessimo non è detto che sarebbe finita lì. Un altro Homo prenderebbe forse il nostro posto; non è solo per i nostri figli che dobbiamo aver cura della Terra.
Dobbiamo conservare il mondo per altre donne e uomini che oggi non immaginiamo e che, speriamo, avranno ereditato da noi solo le cose belle e dimenticato le altre. 


Tutte le illustrazioni sono tratte da Wikipedia

sabato 13 novembre 2010

E se ce ne andassimo?


L'argomento è serio, ma non leggete questo post se non siete abbondantemente visionari, al limite del fuori di zucca, come me (e per fortuna qualcun altro).

La storia, forse ne avete letto, è quella del progetto "100-year Starship" che è stato ufficialmente annunciato dal Pentagono e dalla NASA e che prevede uno studio multidisciplinare che durerà un secolo, alla fine del quale un'astronave lascerà la Terra per colonizzare altri pianeti, possibilmente fuori dal sistema solare. Il viaggio sarà, dichiaratamente, "one way"; l'astronave, con tutto il suo contenuto umano, non tornerà mai più indietro.

Se avete proseguito nella lettura nonostante l'avvertimento iniziale e state sghignazzando, non siete visionari e vi state pure chiedendo se si possa mai parlare di queste idiozie con tutti i problemi che affliggono i normo-pensanti. Ma un altro stravago-pensante, Stephen Hawking, ha chiaramente detto che dobbiamo sbrigarci a trovare un altro pianeta da inguaiare, visto che quest'unico che abbiamo l'abbiamo ridotto con le pezze al culo: http://www.repubblica.it/2006/06/sezioni/esteri/megalopoli-sorpasso/profezia-hawking/profezia-hawking.html
Quindi continuiamo con il nostro esercizio di pensiero non funzionale; i normo-pensanti vadano a leggere cose serie.

Non si sa molto del progetto; cercando qua e là ho trovato il comunicato ufficiale della DARPA (l'agenzia del Pentagono che lo finanzia in gran parte) mentre la NASA parla poco:
e qualche articolo in giro:

In un'intervista, l'unica per ora, uno dei responsabili del progetto ha parlato di viaggi inizialmente diretti su Marte già forse dal 2030 per collaudare le tecnologie, poi il grande balzo verso non si sa dove (ma per allora forse si saprà), ammesso che si sia sviluppato un tipo di propulsione completamente nuovo. Si parla di una ipotetico motore a micro-onde; per me potrebbe anche essere a elastico per quel che ci capisco.     
Quello che è certo è che sono stati stanziati inizialmente 1.100.000 dollari per cominciare a pensarci. Esperti di tutte le discipline dello scibile sono ora seduti a chiedersi "come cominciamo?"
Allora io mi sono fatto un po' di domande (perché io ci credo, anzi vorrei che fossero già passati i cento anni) e mi piacerebbe discuterne.

Dove li troveranno i volontari? Non è che svuteranno le galere? E se approfittasero dell'occasione per liberarsi di qualcuno? Uno parte sereno e scopre che nella branda sopra la sua c'è Capezzone, quando il vascello è già partito.
No, sul serio: se più generazioni dovranno succedersi a bordo dell'astronave prima di arrivare alla terra promessa, come fare per evitare di sbarcare sul nuovo pianeta dei disadattati che non riusciranno più a vivere fuori dal guscio dove hanno sempre vissuto?
Poi mi viene un sospetto: tra cent'anni l'ingegneria genetica sarà molto più avanzata e qualcuno potrebbe fare il pensierino di crearlo, l'equipaggio perfetto e geneticamente programmato. Anzi, già che ci siamo, si potrebbe pure pensare di formare un equipaggio solo femminile che si riprodurrà per partenogenesi durante il viaggio. Maschi a marcire nel passato, donne nel futuro.

E quando arriveranno, saranno ancora uomini? Oppure avremo creato i marziani? E se dovessero riuscire a fondare una nuova civiltà, dopo qualche milione di anni perderebbero la memoria della Terra? Potrebbe anche essere già successo e non lo sappiamo più: chissà da dove siamo arrivati.
Urka, che deriva stravago-pensante.  

E finalmente arriviamo non all'ultima ma alla prima domanda: se fosse oggi, io ci andrei?
Non so; ma sento un'attrazione fatale. Io questi viaggi li ho già fatti tante volte col pensiero e li faccio ancora oggi; come potrei farmi scappare l'occasione di farne uno per davvero anche se di sola andata e anche se sapessi che non uscirò mai più da quell'astronave? No, non potrei mai perdonarmi di aver rinunciato.

Bravo questo pioniere da strapazzo, lo dice perché tanto sa che non avrà mai l'onere della prova.
Dite? E voi?

venerdì 5 novembre 2010

"Negro" è una parola offensiva?


Lo confesso, siccome questo fine settimana non avrò tempo, riciclo un articolo che ho già pubblicato altrove. Ma dato che i miei lettori si contano sulle dita delle zampe di un millepiedi zoppo, poco male.

Negro. È oppure no una parola offensiva?
Marco Fabio Quintiliano, maestro di retorica del 1° secolo affermava che “la consuetudine è la miglior maestra della lingua” e non posso dargli torto: la parola negro ha una semantica di fatto che ci viene imposta dalla lingua inglese, cristallizzata dall’uso, che la rende decisamente insultante.
Ma da un punto di vista “tecnico”, mi si passi il brutto aggettivo, non dovrebbe essere così.

Per capire, facciamo un po’ di storia della parola nigger che, come sappiamo, è oggi gravemente oltraggiosa negli Stati Uniti. Ebbene, non è sempre stato così; anzi pochi sanno che sono stati i bianchi i primi a considerarla offensiva.
In America erano chiamati negroes i primi schiavi in arrivo sulle navi negriere, probabilmente dal francese nègre, ma hanno sicuramente un ruolo da comprimari anche lo spagnolo e portoghese negro (nero).
Nigger nasce quasi contemporaneamente e si diffonde per la sua più facile assonanza con l'inglese e, come detto, non ha in origine (e per molto tempo) alcuna sfumatura spregiativa.  
Nel corso del XIX secolo si diffonde sempre di più la percezione di queste parole come discriminanti ma non ancora come insulti, man mano che "gli interessati" le sentivano usate per lo più nell'accezione di schiavo. Ciò non impedisce, per esempio, a Conrad e Dickens di usare nigger nei loro romanzi senza alcun intento razzista.

Il vero spartiacque, la consacrazione di negroes e niggers nell’universo degli oltraggi, è rappresentato dalla pubblicazione, nel 1926 a Oxford, di A Dictionary of Modern English Usage di H. G. Fowler. Nel manuale si legge che quando le parole in questione sono usate in riferimento a "others than full or partial negroes" sono percepite come un insulto dalla persona in oggetto, e tradiscono “at least a very arrogant inhumanity, if not deliberate insolence". Questa frase fu poi eliminata nelle edizioni successive del libro.
Ma l'uso indisturbato, cioè non particolarmente avversato dagli anti-razzisti, continuerà fino al 1960, quando lo sviluppo dei primi movimenti di protesta diffonde l'alternativa black.
Intorno al 1980 si afferma colored people e nel decennio successivo afro-american. Oggi tra i giovani afro-americani è in voga lo slang nigga, un tentativo di orgoglioso recupero delle radici schiavistiche. 
L'alternativa preferibile e più affermata anche in italiano è afro-americano, anche se l'appellativo di colore è ancora molto diffuso. Sicuramente afro-americano ci libera da ogni sospetto ma ci complica la vita: va bene solo per gli americani.

In antropologia la questione si fa più complessa. Una persona afro-americana appartiene al tipo umano negroide, così come noi visi pallidi apparteniamo al tipo umano caucasoide; appare poco comprensibile modificare un termine scientifico solo perché non è ben accetto socialmente.
E i nostri amici spagnoli e portoghesi, dovrebbero forse abolire il colore negro perché è spregiativo? E gli stati africani del Niger e della Nigeria, nonché il fiume Niger, dovrebbero cambiare nome?

E adesso possiamo finalmente parlarne da un punto di vista puramente etimologico. Intuitiva la discendenza dal latino niger (nero, nigrum in accusativo), un po' meno quella ulteriore dal greco nekròs (morto), da cui deriva, ad esempio, l’aggettivo necrotico.

Per concludere, se non siamo disposti ad affrontare una difficile ed imprudente discussione in merito, usiamo afro-americano e di colore.
Peccato; avremmo fatto volentieri a meno dell’ennesima ingerenza della perfida Albione nella lingua di Dante.