domenica 1 maggio 2011

Il nonno e il suo Tempo


Chiedendo venia ai pochi che l'hanno già letto, ripubblico un racconto che ho scritto diversi anni fa. Lo dedico alla mia mamma che ci ha lasciato da qualche giorno, a mia sorella e a mio fratello. 

Il grande padellone d'oro va di qua e di là una volta al secondo, lucido come uno specchio. Una volta al secondo mi passa davanti al naso e riflette la mia immagine; da sempre, anzi da prima ancora. L’unica differenza è che adesso devo sedermi a terra per riuscire a vedere il mio viso riflesso nel pendolo, com’era quando da bimbetto venivo in questa casa. Non riesco ad immaginare queste stanze senza il familiare toc… toc…, quello che sentivo nel primo pomeriggio, la casa silenziosa, quando il nonno era a letto a riposare; o quando durante i pranzi di Pasqua e Natale, parenti al gran completo, mi facevano recitare la poesiola imparata a scuola e l’unico pum pum che sovrastava la pendola era quello del mio cuore.
Da tempo immemorabile il pendolo oscilla senza fermarsi mai, guerre, nascite e morti, fortune e sfortune, toc… toc...
L’unico al mondo che può dare la corda alla pendola è il nonno. La chiavetta della carica è lì, la vedo, appoggiata nel mobiletto; oggetto sacro. Anatema e sventura a chi osa toccarlo. Il rito della carica era seguito da tutti noi nipoti, da bambini; trovarsi a casa del nonno nel momento fatidico della carica era una fortuna da raccontare agli altri cugini:
“Ecco ragazzi… attento, Andrea! …Tu mettiti qui, tu là, così. Dunque, quest’orologio ha tre motori, il pendolo governa solo quello principale che controlla gli altri due…”
Non ci capivamo niente ma le nostre bocche restavano aperte mentre il nonno manovrava l’orologio del mondo, la rotazione della terra e il nostro respiro. L’evento straordinario che tutti noi ricordiamo fu il guasto della suoneria, avevo forse tredici anni. Per settimane si parlò di un mitico tecnico che sarebbe venuto da non so dove per recarsi al capezzale della pendola del nonno: la pendola aveva il cuore forte ma non suonava più. Il nonno aveva parlato con mezzo mondo al telefono per trovare il dottore giusto; alla fine fu tutto a posto: il solenne rintocco segnò il risveglio alla vita della pendola e del nonno. Tutti capimmo che s’era superata una crisi di quelle importanti. Pendola a posto nonno a posto.
Il mio super orologio da polso che spacca gli atomi del tempo dice che la pendola è avanti di due ore e un quarto; non ricordo di averla mai vista segnare un orario plausibile. Risento la mia voce di bambino:
“Nonno, perché la pendola è sempre fuori tempo?”
Chi te l’ha detto?
“Il segnale orario…”
“Lascia perdere Valerio, non ti fidare. E poi il tempo è quello che vuoi tu, non quello che vogliono loro. Fuori tempo è solo colui che non sa riconoscere il battito del suo cuore.”
Questo concetto lo ricordo affermato molte volte, a tutti diceva che il tempo è quello della sua pendola, tanto che mio cugino aveva detto una frase destinata a restare famosa in famiglia:
“Sono le quattro e un quarto ti-emme-enne, Tempo Medio del Nonno”.
Tra l’altro, il nonno non aveva mai voluto sentir parlare di ora legale, non esisteva:
“Preferisco rimanere all’ora illegale, come i galli. Secondo i violentatori del tempo, d’estate i galli cantano più tardi, il che è palesemente falso e ridicolo, quindi hanno ragione i galli. Ergo, per la proprietà reciproca della colpa, ha torto chi ci governa. Ma tanto, voi ragazzi avete mai sentito un gallo cantare?”
Puntualmente ogni giorno d’estate si lamentava che il telegiornale era in anticipo, che tutti erano impazziti, rimproverava il portiere perché chiudeva il portone troppo presto. Il giorno del ritorno all’ora solare affermava:
“La follia è temporaneamente sospesa.”       

Toc… toc… oggi il nonno è di la che muore, novantaquattro anni. Solo tre giorni fa ha dato la corda alla pendola, poi di sera si è sentito male. Figli, nipoti e pronipoti siamo tutti qui a casa del nonno che muore e io sono seduto per terra a domandarmi chi darà la corda alla pendola. Potrei essere io ad avere l’investitura, anche se non sono il primo nipote? Prima del nonno, chi curava la pendola del milleottocentodiciannove e dava il tempo al mondo?
“Valerio! Ma che fa un uomo della tua età seduto a terra come un bambino a guardare un orologio, sei impazzito? Il dottore è andato via e non l’hai neanche salutato!”
“Che ha detto?”
“Che non arriverà a stasera.”
“E’ nella logica delle cose. E la pendola?”
“Sei il solito cinico insensibile. Tuo nonno, bada bene, il tuo e non il mio, muore e tu pensi alla pendola. Mi vergogno per te.”
“Ti ricordi per caso quanto dura la carica? Sette o nove giorni?”
“Sei un mostro!”
Quest’ultima affermazione viene sottolineata da uno di quei dietro-front che fanno svolazzare la gonna di mia moglie e con i quali Luisa intende troncare, due o tre volte al giorno, ogni rapporto con me. Devo andare a vedere il nonno che muore? No che non ci vado. Sento vociare in cucina, stanno facendo il caffè, il classico caffè corale pre-funebre, andiamo a vedere.
“Oh, Valerio, hai finito di contemplare la pendola? Abbiamo capito che ne sei innamorato, ma non è detto che sia tua! Dai, prendi il caffè con noi.”
“Il problema, zia Franca, non è di chi sia la pendola, ma chi la farà funzionare.”
E’ mio cugino, il leader efficientista megadirettore Gianfranco che interviene:
“Siamo veramente disperati per il problema della pendola, Valerio, come puoi immaginare. Una volta tanto scendi sulla terra e degnati di parlare con noi dei problemi veri, per esempio delle tasse di successione che ci piomberanno sulla testa.”
Non sono mai stato capace di dire tutto quello che penso di questo, mio malgrado, parente. Ci provo:
“Primo, il nonno è vivo. Secondo, fra circa una settimana quella pendola si fermerà, e sarà la prima volta in cent’anni, credo. Mi piacerebbe che si fermasse insieme al cuore del nonno, ma purtroppo questo succede solo nelle fiabe. So che non ti fa nessun effetto ma per fortuna non siamo tutti come te. Vero?” Il mio sguardo gira intorno a cercare sostegno, ma prima di scoprire di non averne trovato molto arriva mia madre, è molto commossa:
“Valerio, il nonno vuole te, deve darti qualcosa. Vuole anche tutti voi, venite.”
Il nonno respira in fretta e male, è lucido ma non parla; con fatica muove gli occhi e le dita. Siamo tutti intorno al suo letto, in attesa di qualcosa. Quando anche l’ultimo di noi è entrato il nonno fa un cenno a mia madre, che apre un cassetto dello scrittoio: ne trae una busta ingiallita che appoggia delicatamente nella mano del nonno.
C’è un lunga pausa, una sospensione totale di ogni sussurro e quasi di ogni respiro. Toc… toc… toc… si sente fin qui. Credo che il nonno voglia farmi leggere il suo testamento, non so perché debba toccare a me. Infatti, dopo alcuni secondi lunghi un’eternità, è me che il nonno guarda, mi chiede con lo sguardo di avvicinarmi. Guarda me e guarda la busta. Devo prenderla e aprirla, lo so.
Non ho mai vissuto un momento così solenne, sono veramente commosso; Gianfranco guarda il suo orologio. Apro maldestramente la busta, ne tiro fuori un unico foglio ingiallito e leggo una data: 4 aprile 1963. Il nonno ha scritto il suo testamento così tanto tempo fa? Mi pongo la domanda guardando gli altri, ho un attimo di smarrimento, Luisa non resiste:
“Che c’è, Valerio? Vai avanti, leggi.”
“Sì, dunque…” La seconda riga è ancora più stupefacente perché leggo:
Caro Valerio…”
Mi fermo di nuovo, stavolta veramente non capisco. Non è il testamento.
“Nonno, è una… lettera per me?”
Lo sguardo è affermativo.
“Nonno, devo leggerla ad alta voce?”
Di nuovo sì, stavolta intuisco fretta. Guardo un’ultima volta i presenti dagli sguardi spazientiti e comincio a leggere:

Caro Valerio,
mentre scrivo questa lettera hai undici anni. Se le cose sono andate come io spero e se la sorte non ci ha troppo allontanati, ora che la leggi dovreste essere tutti riuniti davanti al mio letto di morte.”
Ho un nodo alla gola, faccio un colpo di tosse e vado avanti:
"Questo non è un testamento, a quello ci pensano le leggi, ma una consegna per te che dovrai rispettare ad ogni costo. Ti ho osservato molte volte mentre contempli la mia pendola e ho visto nei tuoi occhi molto di più della semplice curiosità di un bambino. Non hai mai tentato di aprirla, non le hai mai mancato di rispetto, l’hai sempre difesa dall’invadenza dei tuoi coetanei. Hai riflettuto a lungo su di essa e su quello che rappresenta; nessun altro mi ha mai fatto tante domande sulla pendola e sul tempo come te.
Per questo sarai tu il custode della pendola e il depositario del Tempo: quello che, tu lo sai come me, esiste davvero. Insegnerai ai tuoi figli e nipoti come il Tempo è quello che hai dentro; come, a dispetto della necessità di uniformarsi ad un tempo comune ed inventato, l’unico ritmo di cui hai veramente bisogno è quello del tuo cuore e del tuo pensiero.
Per quello che io ne so, l’orologio non si è mai fermato dall’11 ottobre 1889, e tu, come un’antica Vestale, dovrai far sì che non si fermi mai, impedirai ogni danno alla pendola e non dovrai mai accordarla con nessun altro orologio. In ultimo dovrai preoccuparti di chi prenderà il tuo posto. 
Immagino che qualcuno dei presenti stia ridendo del vecchio nonno rincitrullito; a loro vorrei dire che ho voluto dare solennità a questo passaggio di consegne proprio perché solo in questo modo, spero, nessuno avrà il coraggio di contraddire questa mia volontà. Tutto questo può essere interpretato secondo gli schemi usuali, quelli pensati e messi in atto da altri, e condurre alla conclusione che mi manca una rotella. C’è invece chi sente il battito dell’universo, il Tempo al di sopra del tempo, chi non riesce mai ad adeguarsi a certe invenzioni e convenzioni, chi le sfida per tentare di arrivare alla verità; rispettate il pensiero che viene dai sogni, perché è solo attraverso di questo che si può elevare l’essere umano.
Ho fatto il mio Tempo, a voi fare il vostro.

“Nonno…”
Ma il nonno non sente più. E’ Gianfranco che interrompe il silenzio del nostro lungo momento di commozione:
“Certo, bisogna dire che il nonno ha trovato il matto giusto, vero Valerio? Ti aveva capito fin da bambino.”
“Anch’io avevo capito lui, impresa che non è mai stata alla tua portata.”
“Mah. Io ho un impegno e devo andare, torno più tardi.”
“Appunto.”

Subito dopo la morte del nonno, ormai sei mesi fa, mi sono trasferito in quella casa con la mia famiglia.
Toc… toc… toc… destra, sinistra, destra, il padellone d’oro non si è mai fermato. Il Tempo del nonno non è ancora finito.

1 commento:

  1. :) ti avevo già letto nel libro, ma, a volte, le stesse cose ritornano. magari dovremmo mantener vivo un tratto di mare, non so, non ho trovato la guida alla memoria...
    un bacio

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