sabato 8 ottobre 2011

Ma come parlava Cicerone? Fatterelli sul latino.


Vi racconto tre chicche sul latino, nella convinzione che serviranno a vedere una lingua cosiddetta “morta” (ma quando mai, il passato è sempre presente) da un altro punto di vista. Purtroppo nessuno di questi fatterelli ce l’hanno insegnato a scuola, a meno di aver avuto un insegnante particolarmente illuminato e appassionato.   


Matrimonio e patrimonio

Notate la perfetta simmetria tra queste due parole, eppure non sembrano aver molto a che fare l’una con l’altra.
Il suffisso -monio (latino -monium) vuol dire “che viene da”, quindi il patrimonio viene dal padre (i suoi beni destinati ai figli) e il matrimonio viene dalla madre. Perché solo da lei? Che cos’è il matrimonio?
Dobbiamo ragionare un po’ in latino: il matrimonium si differenziava dal concubinatus e anzi vi si opponeva, essendo il primo finalizzato alla creazione della famiglia e quindi alla generazione della prole e il secondo solo alla convivenza tra uomo e donna.
Generare una prole, creare una discendenza, richiede una certezza sull’identità degli eredi; questa certezza può derivare solo dalla madre e non dal padre (mater semper certa est, pater numquam).
Ecco che si crea un legame: il patrimonio del padre è ereditato dal figlio avuto in matrimonio con quella che è sicuramente sua madre. Ciò che certifica la paternità (benché biologicamente solo presunta) è la maternità, che invece è sempre reale e mai presunta.
E poi hanno inventato il test del DNA…     


La poesia dei verbi deponenti

A scuola mi hanno spiegato che in latino ci sono dei verbi che pur avendo forma passiva hanno significato attivo: si chiamano deponenti. Per esempio il verbo sequor significherebbe letteralmente “essere seguito” e invece vuol dire “seguire”. E così molti altri verbi.
Il guaio è che non mi hanno spiegato perché. Quando l’ho capito, molti anni dopo, sono rimasto affascinato dalla raffinatezza, oserei dire dalla poesia della semantica deponente.
Infatti, la forma deponente è tipica di quei verbi in cui non si può fare tutto da soli: ad esempio il verbo negotior (negoziare) è deponente perché non posso negoziare con me stesso, mi serve una controparte; quindi quando “io negozio” sono contemporaneamente parte attiva e passiva.
Lo stesso quando rendo una confessione, infatti confiteor è un verbo anch’esso deponente. Altri esempi sono i verbi hortor, ”esortare” e largior, ”donare”: chi non ha provato piacere nel donare? Faccio un dono e mi viene donato.
L’apice della poesia è raggiunto con il verbo patior, ”soffrire”: è vero che posso soffrire anche da solo, ma la mia sofferenza genera compassione nel prossimo, quindi “io soffro” e “sono sofferto” allo stesso tempo.
Peccato aver perso i verbi deponenti in italiano, abbiamo perso in raffinatezza.
Il più bello? Morior (morire). Nessun uomo che muore è solo perché tutti muoiono un po’ con lui: Non chiedere per chi suona la campana. Essa suona per te.”

                                  
La “pronuntia restituta

Se vi dovesse capitare di ascoltare un tedesco che pronuncia “Kaesar” invece di “Caesar”, prima di sorridere fermatevi finché siete in tempo: ha ragione lui.
In Italia è insegnata la pronuncia del latino ecclesiastico, che non è quella di Cicerone. In tutto il resto d’Europa è insegnata la pronuncia “classica” detta anche “ricostruita” o “pronuntia restituta”, quella autentica del Senato di Roma.

I primi predicatori cristiani parlavano al popolo, ai poveri e ai diseredati, insomma al proletariato. La promessa della vita eterna a chi non ha avuto nulla nella vita terrena obbligava a usare il latino parlato dal popolo, che era più molle, una sorta di dialetto a cui la primissima Chiesa dovette adeguarsi. E tale è rimasto per la Chiesa nei secoli dei secoli, influenzando totalmente l’insegnamento del latino in Italia.

Fondamentalmente, invece, il latino classico aveva una pronuncia dura: C e G non hanno mai pronuncia dolce, la T non si pronuncia mai Z come siamo abituati a dire in gratia, i dittonghi AE e OE devono essere pronunciati con suoni separati e non uniti, la V ha sempre il suono della U.

In Nord Europa si fanno studi di latino molto seri. C’è addirittura una venerazione per il latino in Finlandia, ne siano testimoni le trasmissioni radiofoniche regolari in lingua (Nuntii latini), che potete ascoltare qui, naturalmente con pronuntia restituta. Mi raccomando, come pronunciate la "t" di pronuntia?

Il logo di Nuntii latini

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