Giacomo Matteotti
Il 16 agosto del 1924 il cadavere di Giacomo Matteotti fu ritrovato nella Macchia della Quartarella, un bosco a 25 Km da Roma.
Il deputato socialista aveva denunciato in parlamento i brogli e le violenze ai seggi che avevano condotto al successo elettorale del partito Fascista nelle votazioni del 6 aprile dello stesso anno.
Dopo quel discorso, Matteotti aveva detto ai suoi compagni di partito: "Io il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me".
Così fu.
Dopo l'omicidio Matteotti si scatenò una violenta polemica senza esclusione di colpi tra l'opposizione e la maggioranza fascista sulle responsabilità dell'attentato, e la stampa socialista accusò Mussolini di essere il mandante dell'assassinio. Coloro che additavano il regime come responsabile dell'omicidio furono chiamati "speculatori della Quartarella", con una tecnica tristemente attuale che avrebbe indotto Luigi Einaudi, vent'anni dopo, a scrivere:
"Consueto stravolgimento del senso proprio delle parole, per cui l'infamia non cade sul ladro bensì su quegli che denuncia il ladrocinio. Invece di essere grato alle osservazioni altrui, le quali gli permettono di perfezionare opinioni e propositi, l'uomo criticato grida alla speculazione di chi lo attacca".
Luigi Einaudi
Le polemiche cessarono il 3 gennaio 1925, quando Benito Mussolini affermò in parlamento:
"Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto."
Il resto è storia ma, a quanto pare, la storia non insegna. C'è una parola, nello scritto di Einaudi, che m'inquieta molto: "consueto". Non era la prima volta e non sarebbe stata l'ultima, e oggi ne abbiamo tragiche e continue conferme. Anzi oggi il sistema è molto più evoluto: non è necessario uccidere un Matteotti, ma semplicemente inventarsi qualche frequentazione omosessuale o altre amenità del genere, passando per il colore dei calzini del Matteotti di turno, attraverso la stampa serva del piccolo uomo.
"Consueto" fino a quando? Quo usque tandem? Non ne posso più di storie italiane; la tentazione di non volerne sapere più nulla è fortissima.
La dimensione della delusione e della vergogna è tale che è più facile cancellare l'Italia dai propri pensieri, soprattutto vivendo all'estero.
La dimensione della delusione e della vergogna è tale che è più facile cancellare l'Italia dai propri pensieri, soprattutto vivendo all'estero.
"Non è il paese che sognavo" ha detto Carlo Azeglio Ciampi.
Cara opposizione, è finito il tempo di sognarla, un'altra Italia. Svegli, uniti, attivi e subito, perché qui si fa l'Italia o si muore. Copyright Giuseppe Garibaldi 1860.
Cara opposizione, è finito il tempo di sognarla, un'altra Italia. Svegli, uniti, attivi e subito, perché qui si fa l'Italia o si muore. Copyright Giuseppe Garibaldi 1860.
L'Italia era stata fatta, era venuta anche benino, poi, piano piano, si è guastata; come un soufflè che esce bene dal forno ma a contatto con l'aria si smonta. Adesso ce la prendiamo tutti con Berlusconi che una bella soffiata sul soufflè gliel'ha pure data ma non da solo. Il guasto è precedente, oserei dire che dopo l'emergenza post bellica, il malcostume è dilagato e si è infilato come un virus nelle vene del paese. L'opposizione non si oppone: nei fatti, nelle amministrazioni locali, nelle leggi pro partiti siamo sempre in pieno consociativismo. Vorrei poter dire : peccato! Ma non ci riesco perchè sostanzialmente credo che abbiamo il paese che ci meritiamo.
RispondiEliminaLa "macchina del fango" (v. Saviano) funziona alla grande in un paese dove essere onesti è difficile, dove disonestà è sinonimo di furbizia e onestà di ingenuità. È vero, ce lo meritiamo. Non siamo capaci di credere che si possano ottenere benefici "soltanto" per merito e onestà, siamo deboli. E non c'è bisogno di rubare dei milioni, anche mentre tagliamo la fila al supermercato o quando incassiamo i soldi dall'assicurazione senza averne diritto siamo dei truffatori (e non dei furbi). Inutile gettare fango su quelli che prendono le decisioni se prima non ci siamo tolti di dosso il nostro.
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