domenica 8 gennaio 2012

Il tempo del pubblico dominio


Non mi stancherò mai di dire che Internet è una fonte di conoscenza straordinaria, uno strumento unico nella storia dello sviluppo dell’uomo. Non solo non sarebbe possibile mantenere un blog come questo senza Internet, ma neanche andare a cercare tutte quelle fonti preziose d’informazione che ne costituiscono il complemento.

Molte delle ricerche che faccio sono basate su testi diventati di pubblico dominio e liberamente consultabili grazie a iniziative come Google Books (qui) e Liber Liber (qui), e ogni volta non posso non stupirmi della quantità di materiale di cui disponiamo senza muoverci da casa.

Il 1° gennaio di ogni anno si celebra il “giorno del pubblico dominio”, il giorno in cui cadono le protezioni del diritto d’autore su migliaia di opere, normalmente dopo 70 anni dalla loro prima pubblicazione, che vanno ad arricchire questa colossale biblioteca pubblica.
Ogni anno quindi, una nuova iniezione di testi di cui si può fare ciò che si vuole, copiare, distribuire, utilizzare per comporre una canzone, tutto.

Ho capito la potenzialità immensa del pubblico dominio quando un anno fa ho scritto quel post su Commodo, il famigerato imperatore (qui). Ho potuto consultare online l’edizione integrale della “Storia degli imperatori romani” di Crevier, datata 1751. Entusiasmante, se penso a cosa avrebbe voluto dire farlo in biblioteca.
Il fatto poi che sia possibile scaricare i libri su dispositivi portatili e leggerli a piacimento, mi ha aperto una biblioteca che è sempre con me.
Piccolo problema: ho talmente tanto da leggere che non mi basta il tempo di una vita.

Poi c’è Sua Maestà Wikipedia, secondo me uno dei più visionari progetti dell’umanità. Recentemente su Il Tempo è apparso un articolo che ne dice tutto il male possibile e ne auspica la fine, lo trovate qui. Ottusità galoppante.


Certo, una ricerca su Wikipedia richiede sempre una verifica su altre fonti, se dovete basare una vostra pubblicazione su quei dati; la mia esperienza però è più che positiva: pochissime volte sono incappato in errori sostanziali.
D’altronde le grandi e blasonate opere su carta come la Treccani non sono esenti da errori anche madornali, e in questo caso nessuno potrà intervenire all’istante per correggerli.
Vi faccio un esempio illuminante: molti anni fa ho comprato la prima edizione del Vocabolario della lingua Italiana di Treccani. Con mio grande stupore mi accorsi all’epoca che alla lettera A mancava il verbo “afferire”. Scrissi subito alla redazione per segnalare l’errore, e questi cosa hanno fatto? Innanzitutto non mi hanno risposto per ringraziare della segnalazione, e poi hanno infilato “afferire” nell’appendice, come neologismo! 

 
Ne potrei citare altri, di errori dei dizionari cartacei (per esempio il Garzanti, ma almeno mi hanno risposto e ringraziato), ma il punto è che su Wikipedia questo non è possibile: gli errori vengono corretti più prima che poi e soprattutto gli errori non vengono coperti e giustificati violentando il sapere.

“Open”, questa è la parolina magica. Il sapere aperto, il software aperto, l’arte aperta. Disponibile liberamente a tutti noi, che possiamo così aggiungere qualche mattoncino alle costruzioni della conoscenza; quelle dei sapienti che ci hanno preceduto.       

2 commenti:

  1. Si, viva la rete! Nonostante gli errori e gli usi qualche volta distorti, viva la rete. Sono stata da poco in un paese in cui una buona parte della popolazione, accecata dalla religione, vive ancora nel medioevo ma sono certa che, adesso, con il "sapere aperto", riuscirà a vedere oltre, ad allargare gli orizzonti. E riuscirà a farlo anche contro la volontà di chi la governa. Viva internet!

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  2. Io non ho il medesimo entusiasmo verso la cosiddetta "conoscenza diffusa" che garantirebbe internet.

    In realtà questa enorme disponibilità di informazioni impigrisce l'uomo. Perché studiare, far fatica, capire, quando tutto è disponibile a distanza di un click?
    Quanti laureati dottori hanno elaborato una tesi e si son fatti una nomea a colpi di copy-paste?

    In realtà siamo capaci tutti a trarci d'impaccio con pochi colpi di mouse e quattro salti su wikipedia. Sapere è un'altra cosa.

    Per quanto afferisce alla questione dizionari, io sono sempre sorpreso nel constatare la mancanza, in tutti i dizionari italiani, di termini fondamentali quali spitagno, disallurbio, sgolgoziare, scips & sceps... ma nulla scrivo né risposte ricevo.

    Taluni mi dicono che queste parole esistono solo nella fervida fantasia di un predestinato all'ospedale psichiatrico quale io sono.

    Così pàremi.

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